In tempi passati, da Procida o Napoli; oggi dalla Libia, dalla Siria e da tanti altri paesi lontani.

Al Mediterraneo, alle sue orfane, che non sapranno mai dove sono nate.

Al Mediterraneo, ai suoi orfani che resteranno stranieri ovunque approdino; e nulla di meglio possono aspettarsi che correnti perverse e venti malvagi li respingeranno verso casa.

Al Mediterraneo, a questa madre, là in mezzo, che versa le sue ultime lacrime salate in questo "mare di mezzo". Al suo dolore che nessuna lingua ha mai saputo nominare.

Ai migranti

E alle genti di mare che li salvano e li accolgono. A quelle e a quelli che li curano e consolano. A quei pochi che sanno ancora ciò che è giusto e che resistono ai pericoli delle nostre leggi indegne.

Ai corpi arenati, come strani relitti di legno che nessuno raccoglierebbe.

A questi corpi morti, galleggianti senza vita, che solo qualche appetito di carogne agita per qualche istante. Corpi così sinistramente diversi dai "corpi-morti" colorati (le boe ancorate) ai quali si ormeggiano i battelli da diporto per una colazione o un bagno in relax.

Ai migranti, ai pensieri che tormentano la loro traversata, alle ore interminabili, alle loro paure, al freddo delle notti d'inverno, alla sete, all'arsura del cosiddetto bel tempo estivo, al sale che brucia nelle parti più intime dei loro corpi diseredati.

Alle terre senza speranza che si lasciano alle spalle, alle rive che li depredano e li cacciano, alle coste che li respingono non appena li scorgono.

A quel bambino che pareva addormentato da qualche parte tra il mare e la sabbia.

Alla vergogna che non avrebbe mai dovuto abbandonarci da quando quell'immagine ha invaso i nostri schermi.

E dico "noi" perché nemmeno io ho fatto di meglio, perché ho lasciato che un'altra immagine scacciasse quella, prima ancora che essa stessa sia scacciata da un'altra, e un'altra ancora...

Alla Storia , che non mancherà di essere severa con noi, ed è giusto così.

Per i nostri occhi chiusi, per, come si dice in francese, la nostra vergogna instancabilmente ingoiata.

Perché questo è quello che facciamo quasi tutti, e io stesso per primo: "ingoiamo la nostra vergogna" più e più volte, fingendo respirazioni bocca a bocca, gesti salvavita, e scrivendo parole definitive e utili.

E continueremo a farlo, anche se colti con le mani nel sacco. Come per non ammetterlo. Come per instillarlo in chi verrà dopo di noi.

Come per assicurarci che loro siano più clementi con noi di quanto lo sia stata quest'acqua, spesso pacifica, con gli amici che essi non conosceranno mai, con i loro amori che non sposeranno, con i sorrisi che non ricambieranno, con i pianti che non condivideranno.

Sì, noi... dato che anch'io non sto facendo nient'altro.

Al Mediterraneo, a quegli uomini e donne che lo attraversano senza sapere, meglio di noi, "se sia più umiliante essere" migranti o immigranti. E allora, "Avanti il prossimo!" (NB: "se sia più umiliante essere" e "Avanti il prossimo!" traducono testi e titolo della canzone di Jacques Brel "Au suivant!").

A tutti i morti, arenati e anonimi ,ma infine "immigrati" - l'ironia del destino, potremmo chiamarla.

A coloro che lavano i loro corpi inzuppati di mare e ornati da una crosta di sale. A coloro che danno loro un nome, nonostante i numeri imposti, e a coloro che li salutano senza speranza di risposta.

E a coloro che abitavano quei corpi e che vorrebbero dire grazie a chi si è preso cura di loro piuttosto che subire il tormento del pensiero di corpi marci e divorati. M** a soprattutto a tutti coloro di cui non sapremo mai né il numero né il nome **, portati nel mezzo del mare e nascosti dal nostro muro di silenzio eretto tutto intorno.

Il muro che abbiamo costruito , mano nella mano con coloro dai quali pretendiamo di proteggerci. Un muro, molto più alto e solido, molto più implacabile di quelli di cemento, legno o ferro, quelli che possiamo indicare col dito...

E ancora una volta, brutta abitudine , "ingoiamo la nostra vergogna".

Con o senza fede, possiamo comprendere ciò che tutte le obbedienze dicono, con o senza introspezione possiamo interrogare tutte le filosofie, e allo stesso modo con o senza convinzione possiamo confrontarci con tutte le ideologie che sembrano ancora capaci di dialogare con buon senso.

E allora ciò che noi sentiamo, ciò che ci viene risposto, ma a cui ci opponiamo, è che ogni destino ha un significato , che sia personale o sociale.

Il destino di quei corpi che si decompongono nelle stive chiuse a chiave, di quelle decine di migliaia di persone annegate nell'infamia dopo essere state tormentate dalla fame, sarà prima o poi quello di denunciare e dimostrare!

Malgrado il loro orribile destino comune, sigillato per sempre, il destino di ognuno di loro rivelerà i nostri crimini. E' il nostro silenzio quello che gira nella serratura la chiave delle stive, non meno di quanto lo faccia l'infame che la tiene in mano.

Avremo l'Atlantide come tribunale e queste fosse comuni dell'abisso come spietati procuratori. Ce lo meritiamo, così come meritiamo gli sguardi dei nostri figli che evitano i nostri occhi imploranti. Tutte le ragioni del mondo non ci giustificheranno mai di aver abbandonato nel silenzio delle profondità marine anche un solo bambino, una sola donna, un solo uomo in cerca di un** a ** vita.

Inghiottito, annegato e congelato, l'ultimo grido di uno solo di loro è sufficiente per far arenare nel dolore sia il delfino più mite, sia l'orca più feroce.

Eppure, anche la più pesante sentenza sarà niente. Niente rispetto a ciò che ci siamo già inflitti noi stessi, senza comprenderne la realtà, il significato, la portata o la durata.

Fare del Mediterraneo un mare senza orizzonte significa annientare ogni speranza, su qualunque delle sue coste si abiti. Che il livello del mare salga o scenda... il nostro mare non sarà meno morto.

Della culla della nostra civiltà stiamo facendo una tomba inesorabile.

E dato che ci restano solo la spensieratezza e la superstizione , vorrei rivolgere alcune parole ai semplici bagnanti dell'estate e ai bambini che fortunatamente ridono ancora nonostante questo riscaldamento che promette di essere gelido...

" Incrociate le dita, incrociate spesso le dita e tenetele incrociate a lungo, incrociatele forte, sempre più forte e ancora più a lungo. Non serve assolutamente a niente, nemmeno accompagnato dagli auguri più sinceri... Non serve assolutamente a niente ma durante questo innocente rituale non farete nulla di male con le vostre dieci dita".

Ai migranti

Sébastien Moreu

Discendente di immigrati

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