Per la Caritas quasi un decimo della popolazione è in povertà assoluta e un quarto a forte rischio. Pallone, Cgil: “Servono uno stato sociale universale e strumenti di sostegno al reddito adeguati”
di Roberta Lisi
In prevalenza vivono al Sud, ma si trovano anche nelle regioni settentrionali. Vivono in case in affitto, hanno bassi titoli di studio, in tanti e tante hanno salari bassi. Molti, troppi sono bambini e bambine. Sono i poveri assoluti del nostro Paese. E sono aumentati nonostante il Reddito di cittadinanza abbia evitato che un altro milione di cittadini e cittadine sprofondasse nella miseria.
È il racconto di un’Italia ammalata di diseguaglianze, che si ereditano e approfondiscono. E il merito o la mancanza di esso non c’entra proprio nulla. C’entrano le condizioni economiche e sociali di una società che tardi si è assunta la responsabilità di “entrare in Europa” introducendo strumenti di contrasto a un fenomeno che ormai coinvolge un decimo della popolazione, e che oggi si vorrebbero cancellare. Invece da almeno un ventennio è stata adottata una strategia di tagli allo stato sociale, che dovrebbe essere lo strumento di redistribuzione della ricchezza prodotta dal Paese. La fotografia l’ha scattata la Caritas che in occasione della giornata internazionale di lotta alla povertà, lo scorso 17 ottobre, ha diffuso il suo ventunesimo Rapporto su povertà ed esclusione sociale.
I numeri sono sconcertanti, dice il Rapporto: “Le famiglie in povertà assoluta risultano un milione 960mila, pari a 5.571.000 persone (il 9,4% della popolazione residente). L’incidenza si conferma più alta nel Mezzogiorno (10% dal 9,4% del 2020) mentre scende in misura significativa al Nord, in particolare nel Nord-Ovest (6,7% da 7,9%). In riferimento all’età, i livelli di povertà continuano a essere inversamente proporzionali all’età: la percentuale di poveri assoluti si attesta infatti al 14,2% fra i minori (quasi 1,4 milioni bambini e i ragazzi poveri), all’11,4% fra i giovani di 18-34 anni, all’11,1% per la classe 35-64 anni e al 5,3% per gli over 65”.
Tra le diseguaglianze che si approfondiscono, poi, ci sono anche quelle territoriali: “L’incidenza si conferma più alta nel Mezzogiorno (10% dal 9,4% del 2020) mentre scende in misura significativa al Nord, in particolare nel Nord-Ovest (6,7% da 7,9%). Non bastasse, ai poveri assoluti vanno aggiunti 15 milioni di persone a rischio di povertà ed esclusione sociale. Insomma, un quarto dell’intera popolazione in condizione di grande fragilità. Lo dicevamo: sono soprattutto minori, anziani e migranti, servono misure forti e strutturali.
Tante sono le facce della povertà. Ne esistono due, tra quelle individuate dalla Caritas, che in questi giorni fanno riflettere. “Il rischio di rimanere intrappolati in situazioni di vulnerabilità economica, per chi proviene da un contesto familiare di fragilità è di fatto molto alto. Il nesso tra condizione di vita degli assistiti e condizioni di partenza si palesa su vari fronti oltre a quello economico. Prima di tutto nell’istruzione. Le persone che vivono oggi in uno stato di povertà, nate tra il 1966 e il 1986, provengono per lo più da nuclei familiari con bassi titoli di studio, in alcuni casi senza qualifiche o addirittura analfabeti (oltre il 60% dei genitori possiede al massimo una licenza elementare). E sono proprio i figli delle persone meno istruite a interrompere gli studi prematuramente, fermandosi alla terza media e in taluni casi alla sola licenza elementare; al contrario tra i figli di persone con un titolo di laurea…”. (continua sul sito)
