AI COMPAGNI DEL PD
27, OctUNA LETTERA APERTA
Sono trent’anni che il Pci si è sciolto e noto che, nella vostra evoluzione a forme diverse di organizzazione politica ulteriori, avete perso quell’anima sociale che ci permetteva un dialogo, anche aspro, sulle soluzioni da dare alle questioni sociali perché entrambi – socialisti e comunisti – ne riconoscevamo la necessità di affrontare tali problematiche.
Non avendo realizzato una vera Bad Godesberg, ora vi ritrovate, dopo trent’anni, al punto di partenza. Avete cambiato nomi, segretari e alleanze ma la sostanza culturale è sempre la stessa, sia quella cattocomunista e giustizialista come logica conseguenza evolutiva dell’ultimo periodo Berlingueriano, quando il segretario del Pci sollevò in modo ipocrita la falsa questione morale (non che questo problema non esista!) che in realtà riproponeva in modo diverso il doppiopesismo di Togliattiana memoria.
L’altro aspetto è quella presunta “superiorità morale” che fa considerare l’appartenenza al partito una sorta di eccellenza antropologica. Per quanti siano i nomi cambiati e i matrimoni politici consumati, questo aspetto continua a produrre danni a voi, che sono poi anche danni sociali nel Paese, in quanto esso favorisce una cultura manichea. E il manicheismo, nel suo combinato disposto tra leggi elettorali maggioritaria e mass media, si sta diffondendo come un virus letale per la democrazia.
Alcuni di questi media, in particolare quelli legati al capitalismo famigliare italiano, che sopravvivono grazie alle prebende dello stato e non alle loro capacità imprenditoriali, sono ormai anni che interferiscono nella vita del vostro partito, a conferma di una rottura con quel legame con i ceti popolari, esasperando il contrasto tra giustizia sociale e diritti civili, a scapito della giustizia sociale, per una politica dei diritti di natura ideologica.
Oggi dopo la sconfitta elettorale del 25 settembre avete aperto un periodo di riflessione, come di norma fanno i partiti seri. Vi porterà al congresso. Ascoltando su Radio Radicale gli interventi della vostra direzione non si può negare un dibattito a più voci con una forte senso di messa in discussione. Comunità, identità, rinnovamento del gruppo dirigente, alleanze, legge elettorale responsabile della sconfitta, nuova legge elettorale, pacifismo, guerra, caro energia etc.: tutti temi trattati nei vari interventi, anche con critiche aspre al partito e alle sue alleanze.
Ci sono due aspetti, a mio parere, estremamente negativi che nel dibattito non sono stati messi a fuoco.
Il primo aspetto riguarda la responsabilità della sconfitta, attribuita da alcuni di voi agli elettori, i quali non avrebbero capito il Pd. Pensare che quando si perde è colpa degli elettori vuol dire non mettere in discussione la qualità del messaggio, i contenuti e la proposta politica, il modo in cui si manifestano i propri valori di riferimento. Di norma in politica bisogna avere il coraggio di fare proprio il motto che dice: “l’elettore ha sempre ragione”. L’elettore valuta il rapporto tra ciò che si dichiara e ciò che si fa o non si fa, può piacere o no ma oggi il PD viene percepito come il partito dei ceti agiati, che non difende il mondo del lavoro: il partito degli affari, il partito che predica il bene comune, ma poi i servizi pubblici dimostrano l’opposto, il partito che si professa liberale e Keynesiano, ma privatizza ai soliti noti.
Beninteso: io non credo che ciò sia tutto vero, ma questa è la percezione con cui bisogna fare i conti.
L’altro aspetto è la narrativa sulla sinistra e il potere. Che cos’è la sinistra? Un luogo? Un modo di essere? O la sinistra è un insieme di valori?
Certamente la sinistra dovrebbe collegarsi con dei valori, ma i valori non sono una esclusività di uno schieramento, i valori sono il cemento di una comunità e di un Paese. La differenza può esistere nel modo di calibrarli. La libertà è un valore, ma esso può essere concepito in modo diverso, tra chi ad esempio crede che l’individuo debba solo rispettare le libertà che lo stato gli concede e chi concepisce la libertà come il diritto di fare tutto ciò che più gli aggrada.
Ma quando la libertà viene concepita agli estremi, essa perde la natura che unisce e diventa divisiva perché si trasforma in ideologia. Non a caso in Europa coloro che rappresentano la sinistra si chiamano socialisti o socialdemocratici, movimenti politici e valoriali. Hanno abiurato alle ideologie che sono state il dramma e l’orrore del Novecento.
Lo stesso meccanismo psicologico vale per il potere. È normale che i partiti lottano per il potere ed esso non è né buono né cattivo ma dipende da come viene usato dagli esseri umani. I partiti dovrebbero usarlo per realizzare le loro visioni valoriali, ma se queste diventano gretto interesse o ideologia, il potere si trasforma o in forme illiberali fine a se stesse o in autoritarismo volto a realizzare una visione particolare.
Oggi il Pd si trova a dover fare delle scelte che non sono automaticamente risolvibili con un cambio di nome o di segretario, ma richiedono una profonda rivoluzione culturale. Certamente, oggi qualunque riflessione deve saper cogliere le contraddizioni che emergono dalla nuova rivoluzione dell’economia digitale. Ma deve scegliere anche le sue radici valoriali con cui affrontare la lettura della società e proporre proposte e soluzioni.
Le radici sono quelle del socialismo umanista della tradizione riformista, che coniuga diritti a responsabilità, che espelle dal suo seno le ideologie, ma riesce a cogliere in modo laico i contributi dei vari pensatori del secolo scorso da Turati a Gramsci da Roselli a Don Milani, da Proudhon a Craxi.
Insomma, la strada maestra è il socialismo democratico per rappresentare una sinistra laica e non ideologica.
Per me portare un garofano ad Hammamet è fare una scelta di campo, forse non un “campo largo”, ma certamente coerente con le persone che lavoreranno per realizzare, insieme, una società più giusta.
Infine, per un ritorno alla politica con la P maiuscola, consiglierei: 1) Un ripristino del finanziamento pubblico e regole trasparenti per i privati, perché la democrazia costa. 2) Ritorno al proporzionale puro al primo turno e maggioritario al secondo, con elezione diretta del premier o del presidente: così si coniuga partecipazione e governabilità.
Roberto Giuliano, Roma
