Dopodomani la Società Cooperativa Italiana Zurigo compie centodiciotto anni. A fondarla, in quell'ormai lontano marzo 1905, furono operai italiani reduci dai grandi trafori. Se lavoravi in quei tunnel e volevi uscirne vivo, era importante scansare i botti di dinamite finalizzati allo sbriciolamento della roccia alpina. Dopodiché, appena possibile, dovevi correre verso una città di pianura e cercarti lavori meno perigliosi.
Sull'altro lato della barricata sociale si stagliava la figura iconica di Alfred Escher, pioniere dell'economia elvetica il quale, oltre alla realizzazione del Gottardo, aveva modernizzato la Svizzera e fondato un importante istituto bancario, oggi noto sotto il nome di Credit Suisse.
Alfred Escher secondo lo scultore Richard Kissling
Parallelamente, centodiciotto anni fa, il Regno d'Italia metteva a disposizione dei "padroni del vapore" (e dei trafori) moltitudini di emigranti affinché i suddetti padroni potessero arricchirsi. E quelli, durante l'escavazione del Gottardo ma anche dopo di essa, si arricchirono, anzichenò. Loro si arricchirono tanto di più quanto più disumane furono le condizioni di vita e di lavoro nella seconda metà dell'Ottocento.
"Aiutare vecchi soci (…) colpiti da sventura o caduti nell'indigenza" – questo scopo si distingue tra le finalità elencate all'articolo 2 dello statuto della nostra Società Cooperativa, statuto scritto in un'epoca in cui poteva certamente capitarti di cadere nell'indigenza, anche solo perché ti ammalavi oppure perché eri diventato vecchio, eventualità rara ma non impossibile.
"Vecchio" era spesso sinonimo di "affamato", perché le previdenze sociali, sanitarie e pensionistiche allora non esistevano.
E in quell'epoca ormai lontana non si contavano i piatti di minestrone del Coopi imbanditi a prezzo calmierato o azzerato per i veterani del lavoro migrante. Ma c'erano anche molti giovani: arrivavano in condizioni, diciamo, di appetito estremo, talvolta con le scarpe rotte, dopo lungo vagare attraverso le montagne innevate. Montagne, attualmente, sempre meno coperte di neve a causa del surriscaldamento climatico: un fenomeno che, dall'altra parte del globo, sta distruggendo per siccità i raccolti. E, a causa di ciò, l'Argentina pare giunta ormai alla soglia del default. Però, il paese sudamericano non è una grande banca d'affari, e quindi vedremo se qualcuno se ne occuperà.
Tornando ora alla Zurigo a ridosso della Prima guerra mondiale, diciamo subito che gli esuli antimilitaristi arrivarono proprio allora, trovando anch'essi al Coopi il loro regolare piatto di minestrone. Ma dopo gli antimilitaristi venne l'ora degli esuli antifascisti: un'ora che finì per durare un Ventennio.
E un minestrone dopo l'altro, e un perseguitato dopo l'altro, si giunse alla fine degli anni Trenta, quando scoppiò la Seconda guerra mondiale.
Per quel poco o quel tanto che può valere, al Coopi ci fu un piatto di minestrone anche e soprattutto per coloro le quali e i quali riuscirono a passare il confine, rocambolescamente, sfuggendo alle deportazioni nazi-fasciste. Alcuni di essi nel 1943 presero le armi e andarono a combattere nella Val d'Ossola.
Infine, la Seconda guerra mondiale si concluse. E dopo la Liberazione iniziò un ennesimo esodo di massa: milioni di braccia trasferite dalle province del Triveneto o dai latifondi del Mezzogiorno d'Italia ai cantieri edili e alle fabbriche d'Oltralpe. Anche per costoro furono serviti al Coopi i minestroni proletari a prezzi calmierati o azzerati.
E poi? Poi, decennio dopo decennio, la pressione demografica dal nostro Paese verso l'Europa settentrionale è dapprima diminuita, quindi cessata o quasi. Ma si è aperta la lunga fase dei dissidenti anti-sovietici che fuggivano dall'Ungheria, dalla Cecoslovacchia, dalla Polonia, preceduti dagli antifranchisti di Spagna e seguiti dai Cileni, dai Curdi e da innumerevoli altri oppositori alle dittature in tutto il mondo.
E poi? Poi il Coopi si è trovato sfrattato e sballottato da una sede all'altra non senza dover attraversare, vent'anni fa, gravi momenti di crisi.
Una serata conviviale al Coopi di Zurigo
Ci venne chiesto un aiuto da parte di chi aveva fin lì guidato il locale e la Società Cooperativa. Noi della redazione ADL decidemmo di intervenire. Perché? Lo storico Giuseppe Tamburrano giudicò che lo facemmo "pe' tigna", cioè per puro puntiglio: perché quella storia non doveva né poteva finire in una bancarotta.
Sicché, conquistato il controllo del Coopi, ci rivolgemmo al Credit Suisse (dove avevamo il conto) per ottenerne un modico prestito e la risposta fu, ovviamente, negativa.
Ci aiutammo da noi, autotassandoci, e ne uscimmo non troppo male.
Oggi apprendiamo che, per il risanamento del predetto istituto bancario, i denari necessari all'ingente prestito di cui si parla verrebbero attinti dall'IVA e dalle tasse. Quando si dice: mettere le mani nelle tasche della povera gente... Laddove i manager hanno continuato, persino durante quest'ultimo biennio 2021-2022, a ricevere stipendi da capogiro e non si sa quanti bonus per le loro 'brillanti' prestazioni.
Dopodiché, patapunfete: a metà marzo 2023 si è spalancato un grandissimo buco nero, e all'improvviso il fallimento è ante portas.
Chissà cosa direbbe Escher di questo "suo" Credit Suisse che, dopo essere stato una superpotenza finanziaria mondiale, punta ora a salvarsi grazie a pietose iniezioni di denaro pubblico?
Di certo, e fosse pure finita per sempre l'età dei bonus, quei manager non compiranno il breve chilometro che separa il Coopi di Zurigo dalla piazza delle banche per assaggiare, anche loro, un piatto di minestrone semplice e genuino.


