EDITORIALE - IO CAPITANO
14, SepLe faccine sorridenti, le teorie deliranti e un mare a forma di cimitero.
Eravamo abituati a associare il capitano a una famosa pasta dentifricia, poi l'appellativo fu usurpato da un leader dell'estrema destra italiana, l'attuale vicepremier Salvini, che mentre scriviamo fa il coccodrillo in Parlamento per gli incidenti sul lavoro. Ma adesso, dato il film Io capitano del regista Matteo Garrone, Leone d'argento alla regia e Premio Marcello Mastroianni all'attore protagonista Seydou Sarr, questa parola significa tutta un'altra cosa ancora. Significa l'odissea migrante di Seydou e Moussa, due amici senegalesi (benestanti) che per spirito di avventura decidono di emigrare. Sognano di diventare musicisti in Italia. Affrontano il deserto, i famigerati centri di detenzione libici e una distesa d'acqua a forma di cimitero, anticamente detta "mare nostrum".
Famosa la scena del trasporto di carne umana sballottata su un autocarro che corre pazzescamente lungo le dune del Sahara. E quando incontra una cunetta più dura… "Uno è caduto!" – urlano uomini, donne e bambini a bordo, gesticolando disperati. Ma ai guidatori non passa nemmeno per l'anticamera del cervello di fermarsi. La corsa continua, mentre vedi lo sfortunato giovane sbracciarsi laggiù nella scia di sabbia di una jeep sempre più lontana (vai al clip).
Tutti quelli che non cadranno dall'autocarro arriveranno prima o poi da qualche parte e spenderanno i soldi risparmiati o presi in prestito da loro o dalle loro famiglie per aggiudicarsi una traversata su imbarcazioni di fortuna, dette così perché saranno molto fortunati se salendovi riusciranno a non affogare, com'è accaduto invece a 94 persone in quel di Cutro il 26 febbraio scorso.
Si dirà che queste scene si ripetono da migliaia di anni. Chi non conosce le peripezie di Odisseo? E Cutro dista meno di centosettanta chilometri dalla spiaggia (oggi turistica) da cui quell'uom dal multiforme ingegno prese il mare, andando incontro al suo peggior naufragio la volta in cui rischiò veramente di morire annegato. Eppure anche Omero impallidirebbe forse nell'apprendere che nei soli primi tre mesi del 2023 il Mediterraneo centrale ha inghiottito 441 persone mentre tentavano di raggiungere l'Europa (fonte ONU).
Ma che dire allora di quelli che – uomini, donne, vecchi e bambini – annegano pur rimanendo a casa loro?! Già. Chi ha costruito le dighe in Libia? Probabilmente ingegneri italiani. Probabilmente ottimi ingegneri italiani (e dico "ottimi" senza ironia). Peccato che il surriscaldamento stia violentemente bussando alle nostre porte. Surriscaldamento preannunciato oltre mezzo secolo fa dal Club of Rome, giù giù fino a Greta Thunberg, una ragazzina urlante nel deserto che avanza. Ma noi eravamo "distratti".
Ora, però, pare che il tempo delle distrazioni sia finito. Perché anche le dighe delle nostre centrali, al pari di quelle libiche, sono probabilmente inidonee a reggere l'urto dei mutamenti climatici. Così Gianfranco Becciu, professore di costruzioni idrauliche al Politecnico di Milano, in una recente intervista al Corriere.
Fenomeni di massiccia piovosità improvvisa combinandosi all'impermeabilità di un suolo ormai super-edificato possono produrre inondazioni e investire grandi strutture progettate in un'altra epoca. Di qui i seri problemi di tenuta statica cui assistiamo, "un elemento comune alle alluvioni in Libia, in Grecia o in Emilia Romagna", avverte il professor Becciu.
Se il clima appare assai surriscaldato anche in rapporto alla pressione migratoria, che a sua volta consegue alle siccità non meno che alle inondazioni, sul piano economico assistiamo invece a una tendenziale glaciazione.
Si parla di frenata del PIL europeo al seguito della recessione prevista in Germania per il 2024. Laddove questo per l'Italia della politica significa che anche l'attuale premier andrà incontro a "tempi duri", come dice Lina Palmerini sul "Sole 24 Ore". Ma la stessa Giorgia Meloni, con sguardo impavido o giù di lì, prevede a sua volta che "si moltiplicheranno gli attacchi, le trappole e i tentativi di disarcionarci".
Ove ciò accadesse, un grande clan famigliare ne soffrirebbe parecchio, osserva il direttore del "Fatto Qutidiano", Marco Travaglio, snocciolando in TV la sequela di sorelle, cugini e parenti al seguito della premier. Mentre il filosofo Massimo Cacciari chiosa per Lilli Gruber il fenomeno familista meloniano, che va ricondotto all'assenza di una classe dirigente di estrema destra in grado di fare fronte all'esplosione di consenso in corso. Non ti bastano gli ingegneri aderenti a FDI? E mettece un parente… Non sapremmo dire in che rapporto stia il familismo con la xenofobia alimentata dalla destra. Questo richiederebbe un capitolo a sé. Ma la manfrina è comunque insopportabile. In quanto nessuno – né la capofamiglia né i suoi famigli – punta veramente a evitare i flussi migratori. Braccia assolutamente indispensabili all'economia.
Dunque, va benissimo reclutarli nei loro villaggi, imbarcarli sulle nostre carrette del mare, rinchiuderli nei centri di "accoglienza" e spedirli infine negli ospedali, nei campi e nelle officine. Purché non si accorgano della loro importanza sistemica. E sai la fatica mentre la sinistra ama spudoratamente l'emigrazione fino a desiderare il melting pot e (colmo dei colmi) a preferire "un migrante africano a uno moldavo". Parole testuali della premier Meloni.
Il delirio prosegue così: per la sinistra "il moldavo è troppo affine alla nostra cultura. E dunque non è funzionale al disegno di mescolare il più possibile per diluire. È molto più funzionale a questo disegno il migrante africano. E poco importa se il migrante africano o mediorientale o dell'Asia centrale e meridionale rischia di integrarsi più difficilmente", sostiene Meloni.
Parole tutte tratte da La versione di Giorgia, l'ultimo libro dell'attuale premier. La quale ci spiega financo le segrete ragioni per cui "la sinistra" spingerebbe a spalancare porte e portoni: «Sono due obiettivi occulti. Snaturare l'identità delle nazioni e rivedere al ribasso i diritti dei lavoratori», sostiene una premier di nome Giorgia. E rieccoci – incredibile ma vero - alla "congiura mondiale".
Il grande Umberto Eco aveva già diagnosticato tutto ciò quando si mise a parlare della sindrome del fascismo eterno: «L'Ur-Fascismo è ancora intorno a noi», scriveva il professore. E così proseguiva: «L'Ur-Fascismo può ancora tornare sotto le spoglie più innocenti. Il nostro dovere è di smascherarlo e di puntare l'indice su ognuna delle sue nuove forme – ogni giorno, in ogni parte del mondo».
E sotto le spoglie più innocenti, troviamo le "faccine" simpatiche e ammiccanti che Giorgia Meloni sempre ci dispensa insieme alle sue usuali formule sui migranti colpevoli di «una situazione insostenibile in termini di sicurezza».
Falso! Completamente falso! Secondo una ricerca del CENSIS, pubblicata lo scorso dicembre 2022, «i reati denunciati sono circa 700.000 in meno di quelli denunciati nell'anno 2012, con un decremento pari al 25,4% (vedi qui). Gli omicidi volontari passano dai 528 del 2012 ai 304 del 2021», come attesta, dati alla mano, il sito dell'Associazione Etica della Pubblica Amministrazione. Ma, allora, dov'è mai finito l'onore della sua nazione, presidente Meloni, se lei può spararle così grosse pur di non dover dire "grazie" alle persone che le danno una mano a navigare in mezzo a questo Mediterraneo divenuto un unico grande camposanto?
