Editoriale - SOGNO O SON DESTO?
10, Novdi Andrea Ermano
Non garantisco l’attendibilità di notizie venutemi da rassegne stampa notturne o antelucane o mattutine perché le recepisco tramite un iPad mentre mi addormento o mentre mi sto svegliando e comunque in situazione di dormiveglia nella quale fatico a discernere se sogno o son desto.
Dato che adesso devo buttare giù due o tre cartelle di scemenze e che per il celebre Principio di Peter «in una gerarchia, ogni dipendente tende a salire di grado fino al proprio livello di incompetenza», oggi parlerò dell’America e delle elezioni “Midterm USA 2022”, per le quali si era oscuramente temuto, trepidamente preannunciato, eventualmente paventato, nitidamente preavvertito un fenomeno definitivo e spaventoso: 
L’ONDA ROSSA.
Ebbene sì, diciamocelo, c’era l’onda rossa in arrivo, l’onda cavalcata dal milionario sventra-papere biondo di nome Trump. In altri tempi si sarebbe temuto ben altro, ma oggi pareva fatalmente destinata a sommergere l’attuale inquilino della Casa Bianca, un senescente Joe Biden che ama farsi riprendere mentre compie una corsetta a passettini malcerti (con l’effetto di sottolineare tutti quanti i suoi ottant’anni).
Girandomi nel letto devo avere per un momento pensato che ci vuole il coraggio civile dei nostri mass media per presentare una competizione così flaccidamente politicista come fosse un evento di portata mondiale. Poi l’espressione “onda rossa” ha evocato in me, nativo friulano, sottaciute paure infantili verso un’invasione titoista. Paure piamente trasmessemi dalla cara nonna che accendeva candele votive affinché il Signore ci risparmiasse l’avanzata del comunismo.
Stavolta il colore rosso simboleggia, però, una formazione del centrodestra statunitense, il Partito Repubblicano, che si chiama anche Grand Old Party (GOP), e che sotto l’egida del trumpismo si è caratterizzato negli ultimi anni per la sua linea politica ecclettica, diciamo: una mistura di populismo, conservatorismo, protezionismo, neoliberismo selvaggio, nazionalismo, isolazionismo, complottismo e pregiudizi etnici vari.
Poi devo avere sognato uno degli uomini più ricchi del mondo che girava per una specie di hangar con un bidè tenuto come un bebè, in braccio. E da quell’incavo di porcellana da bagno, abituato a vedere soltanto culi, uscivano i rantoli di migliaia di uccellini: Vi liquido tutti, esclamava sghignazzando l’uomo del bidè, e i poveri uccellini morenti pigolavano spaventati: no, non farlo, per favore!
Ma lui imperterrito: come no?! Certo che lo faccio! Lo faccio e poi voto Trump! Allora il bidè si trasformava in lavandino e questi in vasca da bagno stile Slipper tub… E il super-ricco continuava: Sì, bruttissimi sottouomini da carico residuale di carrette del mar Mediterraneo! Leggete le mie labbra: IO STO CON TRUMP E VOTO GOP!!!
A un certo punto mi pare di avere captato un tele-esperto in collegamento da New York che spiegava come avessero plebiscitariamente votato a destra proprio gli strati più popolari delle lavoratrici e dei lavoratori americani insieme a pezzi di ceto medio precarizzato.
Nel sonno mi sarà sicuramente passata per la mente una domanda circa la probabile insania di questo elettorato che negli exit poll si autodefinisce “poor”. In friulano il “povero” è detto “biât”, cioè “beato”, che significa appunto “povero”, ma anche “povero di spirito”. Infatti, si legge nelle Beatitudini: «Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5, 3).
Ma davvero questi poverelli americani votano come i miliardari Trump ed Elon Musk al punto tale da produrre un’ondata rossa, con tanto di generoso regalo fiscale a favore dei ricchi (che li licenziano a migliaia) senza contare il conseguente taglio dello stato sociale a discapito di loro 
stessi medesimi, cornuti e mazziati?!
SOTTO L’EFFETTO DI UNA LENTE ONIRICA mi s’ingigantisce nella mente la figura iper-marinettiana di Elon Musk: «Non riesco a pensare a niente di più eccitante che andare là fuori ed essere tra le stelle».
Ecco Musk, pallido come un lavandino: sta illustrando il progetto aerospaziale “Space X”, che è la più grande compagnia privata operante nel settore dei satelliti artificiali. Il progetto prevede la costruzione di un veicolo aerospaziale completamente riutilizzabile il cui obiettivo è il trasporto umano verso Marte.
Lì il miliardario propone di realizzare una serra sperimentale (“Mars Oasis”) utilizzando semi con gel liofilizzati. Lo scopo è “rendere la vita del genere umano multiplanetaria” aprendo la strada alla colonizzazione di Marte, con partenza delle prime spedizioni prevista per il 2024 (staremo a vedere).
La riutilizzabilità del vettore interplanetario dovrebbe essere portata alla capacità di trasferire sul pianeta rosso circa 80.000 persone. Ma per non apparire troppo elitario avverte che:
«Saranno necessarie milioni di persone per una colonia su Marte, per cui 80.000 è soltanto il numero di persone inviate su Marte ogni anno. So bene che può sembrare una follia. Non sono diventato pazzo, e nemmeno credo che la SpaceX possa fare tutto questo da sola. Ma se l'Umanità spera di diventare una specie multi-planetaria, dobbiamo trovare un modo per spostare milioni di persone su Marte».
Così parlò Elon Musk al Congresso Astronautico Internazionale tenutosi in quel di Adelaide (Australia) nel settembre 2017.
(video)
Ma perché mai l’umanità dovrebbe sperare tutto ciò? Ho un forte accesso di sudore. Sento una rabbia incapsulata in una bolla onirica lanciata a folle velocità contro l’ipocrisia da marketing dell’innominabile.
M’infurio nel sonno.
Perché io so che, in realtà, “rendere la vita del genere umano multiplanetaria” altro non significa che organizzare la fuoriuscita dal pianeta Terra di tre o quattro persone ogni centomila.
Quando?
Quando la Terra sarà in procinto di collassare divenendo inabitabile a causa della nostra umana pazzia.
E ci sarà un prezzo per acquistare il biglietto per poter salire sull’astronave in volo verso la salvezza marziana?!
O ci sarà qualcuno a stabilire chi saranno i sommersi e chi i salvati?
QUI MI SVEGLIO IN UN BAGNO DI SUDORE… L’ondata rossa non c’è stata. Il GOP ha sì conquistato la maggioranza alla Camera dei Rappresentanti, ma non al Senato.
Secondo un exit poll pubblicato da CNN (vedi) sarebbero stati gli elettori più giovani – e segnatamente i Millennials insieme alla Generazione Z – a fare fronte contro l’avanzata dei repubblicani.
Gli elettori tra i 18 e i 29 anni che hanno votato per i Democratici sono stati tantissimi, da uno zoccolo di consenso minimo pari al 52% nel North Carolina fino a punte del 74% nel New Hampshire e del 76% in Arizona. In media, il voto giovanile a favore dei democratici ha segnato negli USA un incremento del 28% rispetto al recente passato. In misura non molto dissimile lo stesso fenomeno può essere constatato anche in rapporto al voto femminile. La motivazione pro-democrat starebbe in alcuni temi progressisti, tra cui il diritto all’aborto.
D’altro canto, però, è vero (e non poco grave) che la percentuale dei “poveri” che hanno votato per i repubblicani supera, in alcuni stati di molto, la quota di consensi per i democratici.
Ma era fin troppo ovvio che mi dovessi svegliare in un bagno di sudore. Per cui adesso mi riaddormento. Voi a questo punto direte che sarebbe naturale tirare un parallelo onirico tra la sconfitta dei democratici americani oggi e quella dei democratici italiani un mese fa. Salvo che l’Italia tende all’incubo: qui governa Giorgia Meloni, leader dell’MSI- DN-AN-FdI nonché amica politica di Donald, mentre Trump himself negli USA ha preso una bella botta, ma ha anche perso la partita interna al mondo repubblicano, nel quale l’astro nascente si chiama Ron DeSantis.
Dopodiché, se qualcuno mi chiedesse che cosa ne penso io della risacca democrat, sia in Italia che in America settentrionale, direi: guardate a sud Lula che ha vinto la partita.
Lula l’ha vinta di misura in Brasile, come di misura l’hanno persa i democrat (in USA, ma non in Italia).
Ora, Lula mantiene ancora un pizzico di socialismo nel suo programma. Invece, tra i democrat si sente poco parlare, ultimamente, di esponenti “left”, quali Alexandria Ocasio-Cortez e Bernie Sanders, famosi a livello globale, ma sottostimati in patria.
Probabilmente, su una certa parola grava l’interdetto sovrano dei vari media e dei loro proprietari azionari o pubblicitari. Ma, a proposito di pubblicità, ora c’è George Clooney, nella mia bolla onirica: No socialism? No workers!
