Scusatemi se la scorsa settimana, poiché l’ADL usciva all’antivigilia del Giorno della Memoria, ho preferito non celebrare in anticipo questa ricorrenza, ma non certo nell’intento di autoesonerarmi da un obbligo morale.
Sottoscrivo però le parole di Renzo Balmelli, decano del giornalismo che annoveriamo tra le nostre firme più illustri: «Tra arabeschi semantici e contorsioni ideologiche, stiamo assistendo a un restyling del fascismo che in occasione del Giorno della Memoria appare in tutta la sua inquietante, feroce crudezza. In certi ambienti si tende a proporne una narrazione blanda, edulcorata, quasi salottiera, col pretesto che “dopotutto ha fatto anche cose buone”… Liliana Segre sottolinea il pericolo dell’oblio, ritenendo che tra qualche anno di quei tragici eventi legati al male assoluto ci sarà solo una riga sui libri di storia… Ma finché l’ADL porterà avanti la sua missione, la Senatrice a vita può stare sicura che su queste colonne non daremo spazio al ‘moderno’ conformismo di una società inesistente, liquefatta e profondamente malata», scriveva Balmelli sull’ADL del 25/1/2023. Grazie, Renzo, siamo qua.
Il tema del “conformismo” è stato così ripreso dal Presidente Mattarella: «Il sistema di Auschwitz e dei campi ad esso collegati fu l’estrema, ma diretta e ineluttabile, conseguenza di pulsioni antistoriche e antiscientifiche, di istinti brutali, di pregiudizi, di dottrine perniciose, di gretti interessi, e persino di conformismi di moda… Non possiamo dimenticare – ricordando i deportati italiani – le sofferenze patite dai nostri militari, internati nei campi di prigionia tedesca, dopo il rifiuto di passare nelle file della Repubblica di Salò, alleata e complice dell’occupante nazista. Furono 650 mila. Il loro ‘no’ ha rappresentato un atto di estremo coraggio, di riscatto morale, di Resistenza... Ma il terribile meccanismo di distruzione non si sarebbe messo in moto se non avesse goduto di un consenso, a volte tacito ma comunque diffuso, nella popolazione».
Parole di verità. Ma, mentre sto a mia volta celebrando “a scoppio ritardato” il Giorno della Memoria, devo confessare che penso non solo all’ADL e alla Federazione Socialista Italiana in Svizzera, la quale fu per inciso il Centro Estero del PSI sotto la guida di Ignazio Silone. In realtà – mettendomi una mano sulla coscienza – io mi scopro nel Qui e nell’Adesso a ricordare, con un’intensità per me inedita, le donne e gli uomini della famiglia di mia madre e di mio padre, che intravvedo sullo sfondo della memoria come sfingi tra le nebbie.
Non riesco per esempio a distrarre la mente dal nonno, Salvatore Abate, “Aiutante di Battaglia” nel Regio Esercito, assassinato dagli Ustascia nel 1941 per essersi opposto ai loro orrendi massacri etnici. Lasciò la moglie Giulia con dieci figli e figlie, una delle quali si chiamava Olinda e morì bambina. Nonno Salvatore “vive” adesso (per così dire) in un Averno familiare. Ora guida, insieme alla zia Olinda, un piccolo corteo di ombre di parenti che erano a loro sopravvissuti, ma che poi, nel lungo tempo intercorso, si sono dileguati.
Erano ragazze e ragazzi, durante la Seconda guerra mondiale. Ed entrarono a vario titolo nelle formazioni dei Volontari della Libertà. Si chiamarono Orlando e Clorinda Abate o Mario Ermano e si diedero alla macchia. Altri – Nino e Angelo Ermano e Ruggero Abate – nell’estate del 1943 non tradirono il giuramento di fedeltà al Regio Esercito pagando il prezzo della deportazione, proprio come dice il Presidente Mattarella.
Cerco di raffigurarmi i sentimenti di questi zii che, rischiando la vita, rimasero fedeli alla parola data verso un regnante come Vittorio Emanuele III, uomo di tanto più bassa statura morale.
Basti dire che costui, il Re, consegnò l’Italia a Mussolini nel 1922. Costui, il Re, assecondò il duce in tutto e per tutto: fin dentro alla campagna d'Etiopia (con impiego di gas asfissianti in spregio alle convenzioni di Ginevra), fin dentro alla Guerra di Spagna (nella quale l’Italia insieme all’aviazione nazista rase al suolo Guernica sterminando un numero imprecisato di civili innocenti), fin dentro alle Leggi razziali del 1938.
Dopodiché, costui, il Re, sottoscrisse una dichiarazione di guerra contro la Francia e la Gran Bretagna, a fianco della Germania nazista. E quell’inchiostro si asciugava sul regio decreto negli stessi giorni di giugno del 1940 nei quali veniva reso operativo il Campo di Auschwitz: luogo deputato alle “non-persone” cui si riferivano le leggi razziali. Infine, costui, il Re, raggiunse la somma vetta della sua codardia con la fuga dalla capitale il 9 settembre del 1943, quando non si curò di difendere altri che sé stesso medesimo, mentre abbandonava il Quirinale. E quali effetti ne derivarono per i sudditi si può vedere in “Roma città aperta”, capolavoro di Rossellini.
Ma come fu possibile tutto ciò? Un passo dopo l’altro, a colpi di “viva il duce!” e “avanti Savoia!” l’Italia si ritrovò coscritta, abbandonata, invasa, deportata… senza contare le altre vittime direttamente o indirettamente causate ovunque.
Ma ugualmente fu per fedeltà al Re che nell’estate del 1943 scelsero la prigionia: non solo i miei zii, ma anche centinaia di migliaia di italiani appartenenti ad altre famiglie. E però trentasei mesi dopo, quelli che avevano avuto in sorte di ritornare a casa e di potersi quindi esprimere nel Referendum istituzionale del 1946, quegli stessi soldatini reduci votarono poi infine contro il Re e per la Repubblica. Bandirono con metodo democratico la Monarchia dall’Italia.
Li intravvedo in sogno, ombre del piccolo Averno familiare. E mi dicono: «Non ricordi più, caro, quel che ti abbiamo insegnato quando eri bambino? Quando ti raccontavamo nel tinello o in cortile o nell’orto quelle storie di pecoroni? E la parola “pecoroni” non ti dice più niente? Era la storia di un gregge in cui il primo si butta nel baratro e tutti gli altri dietro a precipizio “come pecoroni” appunto».
Rieccoci al tema del conformista, su cui Alberto Moravia scrive nel 1951il suo omonimo romanzo, che ispira un film omonimo di Bernardo Bertolucci nel 1970. Per chi ama le variazioni sul tema c’è persino questa canzone di Giorgio Gaber:
«Io sono un uomo nuovo
talmente nuovo che è da tempo
che non sono neanche più fascista …
Il conformista
è uno che di solito sta sempre dalla parte giusta».
Che altro resta da dire? Come mi ammonisce un mio vecchio amico, resta un punto fermo: la guerra in Ucraina, che non è un conflitto come tutti gli altri perché lì stanno di fatto “confliggendo” le superpotenze atomiche.
Non possiamo non dirci francescani: «È in corso una guerra e credo sia un errore pensare che sia un film di cow boy dove ci sono buoni e cattivi. Ed è un errore anche pensare che questa è una guerra tra Russia e Ucraina e basta. No: questa è una guerra mondiale», diceva Papa Bergoglio.
Dopodiché, non bisogna stancarsi di ripetere che è una guerra con un aggressore invasore e un aggredito invaso. E occorre altresì ribadire che il leader aggressore è un autocrate di nome Putin, le cui strategie retoriche e militari “tendono al genocidio”, secondo il giudizio discusso a livello internazionale tra esperti della statura di Timothy Snyder, Eugene Finkel, Gregory Stanton e Jonathan Leader Maynard.
Purtroppo, però, l’arsenale sovietico è passato alla Federazione russa, che nel 2012 disponeva ancora di 8.500 testate atomiche. E che noi, il genere umano, non si sia stati mai così vicini all’Armageddon quanto lo siamo nel Qui e nell’Adesso, ce lo assevera Rachel Bronson, coordinatrice del Bulletin of the Atomic Scientists che annualmente tiene il polso dei pericoli di un olocausto nucleare.
Per il Doomsday Clock, l'orologio del Giorno del Giudizio, mancano 90 secondi all'umanità prima della “Mezzanotte”.
Ciò premesso, può anche darsi che l’Occidente e la Nato non sbaglino nell’avere adottato la strategia di “compressione”, diciamo, intorno all’espansionismo putiniano. Ma quello che, nel tentativo di non fare il “pecorone”, mi risulta non del tutto chiaro è il senso metereologico generale delle nubi grandi e perigliose che si stanno addensando intorno a noi.
Personalmente, avverto che dal mio piccolo Averno familiare, ogni qual volta resisto al conformismo, salgono (flebili) cenni di consenso. Ma forse anche la coscienza inganna. Ed è sbagliato, forse, pensare con la propria testa. Forse si erra a mettersi nella testa dell’altro, cercando un’impossibile coerenza…


