Oggi sul “manifesto” un servizio dedicato al Coopi di Zurigo (clicca qui)
Dopo aver passato in rassegna le beccacce “à la socialiste” servite nella Popote parigina degli anni Venti, lo storico delle culture materiali Guido Farinelli approda sul quotidiano “il manifesto” di oggi, 9/2/2023 (clicca qui), ai leggendari cappelletti di Erminia Cella nella Zurigo dei tempi di Lenin.
Appare oggi sul quotidiano “il manifesto” un ampio servizio di Guido Farinelli dedicato al Ristorante Cooperativo, storico centro antifascista zurighese, che quest’anno è in procinto di uscire dalla sua attuale sede, causa un canone d’affitto divenuto troppo oneroso dopo il Covid (oltre 11.500 euro al mese). Perciò, nell’agosto scorso le cooperatrici e i cooperatori socialisti di Zurigo hanno deliberato di sospendere le attività gastronomiche nell’attuale locazione finché non sarà possibile acquistare una sede di proprietà.
C’era una volta… Ricordate le fiabe dell’orco che mangia i bambini, non tutti però, ma solo quelli golosi di zucchero, caramelle, patatine e bibite gassate? Finché venne un giorno che tutti i bambini del mondo decisero di ritornare alle buone ricette di Nonna Adele e l’orco divenne vegano. Ricordate? No? Ricominciamo. C’era una volta i manuali di storia patria con poche, pochissime pagine dedicate alle lotte contadine. E oggi chi spreca più il suo inchiostro per robe di questo tipo? La millenaria vicenda di carestie con esplosioni di fame cannibalica contrapposta al sogno popolare di un paradiso con tantissimi alberi della cuccagna dove potevi cogliere pagnotte e salsicce e fiasche di vino per riempirti la pancia fino a scoppiare – questa vicenda appartiene ormai soltanto alle fiabe.
Oggidì, nell’età sottile dei beni immateriali, facciamo fatica a comprendere l’ancor più sottile sillogismo dell’equità. Secondo il quale essa per dirsi tale non può limitarsi mai soltanto alla Giustizia di Chisciotte, ma sempre – come cantò il grande Miguel de Cervantes – dev’essere anche la Giustizia di Panza. Gli ultimi a cantare questa Giustizia di Panza furono Franca Rame e Dario Fo. Il quale a forza di parlare in “grammelot” di fame nera e gran mangiate e a forza di ispirarsi «ai giullari medievali nel dileggiare l'autorità e nel risollevare la dignità degli oppressi», vinse il Nobel per la Letteratura nel 1997.
E ditemi voi se è poco.
Fu memorabile, nel Fo di Mistero Buffo, la figura dello Zanni, uomo povero quant’altri mai, il quale si addormentò assediato dalla fame. E sognò tre pentoloni fumanti: uno pieno di polenta, uno pieno di cinghiale e uno pieno di verze! E mangiava che ti mangiava, lo Zanni, e la polenta e le verze e il cinghiale. Senza però riuscire mai a saziarsi. Fu così che cominciò a mangiare sé stesso medesimo. Fino a diventare una bocca masticante. Ma qui si svegliò. La fame non lo aveva mollato. Anzi. Allora gli tornò il malumore finché improvvisamente una mosca non iniziò a volargli intorno. Lui lesto la catturò e se la mangiò “in un sol boccone”. Si fa per dire: che sarà mai una mosca. Ma, colpo di scena: grandissima la soddisfazione dello Zanni. Adesso e solo adesso si era completamente saziato, come sanno tutti quelli che hanno visto il Mistero buffo di Dario Fo! (vedi il video)
Il Coopi di Zurigo durante la presentazione del volume bilingue di Cìnkali di Dario Robbiani (1939-2009) con Renzo Balmelli, Gigi Bettoli, Giangi Cretti, Toni Ricciardi, Lara Robbiani, Anita Thanei e Vincenzo Todisco il 14/12/2019.
A dire il vero, noi non sapevamo molto dello Zanni, neppure che fu lui, proprio lui a scatenare la rivolta del “Crudele Giovedì Grasso” del 1511 in quel di Udine. Altri tempi. Tempi remoti in lande lontane. Eppure già prima di allora, nel XIV secolo, vi erano stati accadimenti simili e di ben più vasta portata: in Francia, in Spagna e in tutt’Europa.
Accadde durante la Grande carestia del 1315-1317 e la Peste nera del 1347-1350. Perché, incredibile a dirsi, già allora le crisi, vuoi epidemiche, vuoi economiche, venivano scaricate addosso ai poveri. E fu così che sui contadini francesi ricadde, insieme agli effetti della peste e delle varie guerre, anche il pesantissimo costo del riscatto per Giovanni “il Buono”, il re fatto prigioniero dagli inglesi nella battaglia di Poitiers. L’insurrezione popolare di quegli affamati venne chiamata Jacquerie. Che prese il nome da “Jacques le Bonhomme” (“Giacomo il Buonuomo”), l’epiteto con cui i nobili usavano designare ironicamente i “loro” contadini. Quella primavera del 1358, quando il Buonuomo si alterò, smisero di chiamarli così.
Con un salto di tempi e di luoghi, segue ora un breve accenno alla Rivolta dei contadini padani, avvenuta nel 1884-1885, primo biennio rosso: fu l'atto germinale del movimento contadino italiano, proprio nei luoghi in cui nasceva allora Giacomo Matteotti, che di quei contadini diventerà rappresentante parlamentare e avvocato. Ma va anche detto che due altri giuristi socialisti, della generazione precedente rispetto a Matteotti, avevano già fornito una ricostruzione dei tumulti popolari contro gli agrari: essa si trova nell’atto di difesa presentato dagli avvocati Pasquale Laureti e Giuseppe Pozzi al processo contro i contadini umbri di Narni insorti.
Senonché, come scrive Giansandro Merli, le vicende e le culture dei popoli sono intessute di miseria e di fame, ma si nutrono anche, è proprio il caso di dirlo, di una ricchissima cultura materiale in cui spiccano le specialità che si servono in tavola. Ed è qui che incontriamo Guido Farinelli, storico delle culture materiali, che nel 2021 ha ricostruito in storia, leggende e ricette Il tartufo nero, cui è seguita nel 2022 La ricotta.
Il “manifesto” di oggi con il paginone di Guido Farinelli sul Coopi di Zurigo
Oggi Farinelli pubblica un ampio servizio dal titolo Pane e politica ai tavoli del Coopi. Vi invitiamo a leggerlo sul sito de “il manifesto” e perciò non ne anticipiamo neanche una parola (clicca qui). Ci sia consentito citare, invece, due passaggi di un precedente servizio pubblicato da Farinelli sul quotidiano della dissidenza comunista fondato nel 1969 da Lucio Magri e Rossana Rossanda.
Si tratta del servizio dedicato alla ‘Popote’ parigina, esperienza per altro legata al Coopi di Zurigo da indissolubili legami storici nella lotta di opposizione alla dittatura fascista: «La tavola ha avuto un ruolo chiave nella fondazione del Partito dei lavoratori. È con una tentazione culinaria che Turati viene spinto alla candidatura e gli esuli trovano conforto. Alla “Popote” di Parigi Buozzi taglia la carne, Coccia pulisce le verdure, Nenni spazza il pavimento», scrive Farinelli sul “manifesto” dell’11 dicembre scorso.
Anche noi avevamo rivisitato la ‘Popote’ parigina, negli “Annali della Fondazione Nenni” usciti nel 2009 a cura di Giuseppe Tamburrano e Franco Coccia. Ma – nota autocritica – ci eravamo poco occupati della cultura materiale, che invece ha un ruolo decisivo nella storia del movimento operaio e anche della nostra famiglia organizzativa socialista d’emigrazione.
«Cibo e trattorie hanno un ruolo importante anche nel periodo più buio per l’organizzazione socialista: il fascismo e l’esilio», argomenta Farinelli: «Di grande valore è la testimonianza di Vera Modigliani, moglie dell’avvocato socialista Giuseppe Emanuele Modigliani, fratello del pittore, che nel libro di memorie Esilio descrive l’affascinante esperienza della mensa degli esuli italiani. La frequentano l’anziano Turati e poi Treves, Pertini, Nenni, Buozzi e altri membri del partito giunti a Parigi per sfuggire alla ferocia fascista. Sono proprio Vera Modigliani e Nina Coccia [moglie del segretario del PSI in esilio, n.d.r.], a dare vita alla trattoria chiamata la Popote des proscrits italiens, [“La pignatta degli antifascisti italiani” n.d.r.]».
La ‘Popote’ di Parigi nel dicembre 1926, con Pietro Nenni sul fondo (secondo da destra), tra Nullo Baldini e Pallante Rugginenti. In primo piano (da destra): Nina Coccia, Fernando Schiavetti e Ugo Coccia.



