SPERANZA. Giusto per mettere un paio di puntini sulle i. Da quando è scoppiato il Qatargate sulle testate ed i social vicini alla destra si affannano per dimostrare che “la superiorità morale della sinistra non è mai esistita”. Ohibò! La solita morale a doppio taglio. Sarebbe ovviamente fin troppo facile obiettare che l’infausta stagione del bunga-bunga o la promessa di un bus carico di “tr…ie” alla squadra vincente non sono proprio un modello di probità, bensì scheletri nell’armadio che umiliano le donne. Guardiamoci dunque dal ricorrere a simili espedienti del tutto inutili a chiarire i sospetti, le complicità e il malaffare di uno scandalo di vaste dimensioni che “fa piangere non soltanto il re”, come cantava Dario Fo. Per non lasciarsi travolgere dalla sporcizia, come giustamente annota Enrico Letta, si affronti dunque con coraggio la verità, seppur dolorosa, poiché essa sola consente, con una incisiva bonifica morale, di ritrovare il filo smarrito e rimettere le cose al posto giusto nel grande libro della storia. La sinistra, che ora ha un grosso debito verso le donne e gli uomini che in essa credono e ripongono tante speranze, è un’idea che non muore e che perciò va protetta dai malfattori che ne hanno abusato. Quand’anche ci volesse tutto il sapone di Marsiglia per lavare le mani sporche e farci dire che tanta fatica, tante rinunce non sono stata vane.
SPECCHIETTO. È dal 1945 che nell’Europa libera e democratica non si parlava più di un Natale di guerra. Sulle rovine ancora fumanti della crudele macelleria nazi-fascista all’origine del secondo conflitto mondiale quell’anno sbocciò il fiore della pace. Non fu facile innaffiarlo, farlo crescere, ma la buona volontà ebbe sempre la meglio sui rigurgiti bellici e nostalgici. Ora sugli ideali che tengono uniti la casa comune soffia il vento gelido della Siberia. L’Europa, col rombo dei cannoni alle sue porte, si vede costretta ad affrontare un passaggio delicatissimo in seguito a una serie di eventi che continuano a produrre conseguenze drammatiche, e altre ancora ne produrrà. Dentro le mura del Cremlino un signore determinato a trasformare il 2022 in un nuovo 1939 ci costringe - secondo l’indovinata immagine di Federico Rampini sul Corriere della sera - a vedere il futuro “con gli occhi incollati allo specchietto retrovisore”. Non sia mai. Nell’emergenza è d’obbligo e impegno tassativo imparare a stare ben composti al tavolo dell’Europa, senza cedere alle lusinghe del sovranismo.
ODIO. Come riassumere in poche parole il populismo di Mussolini? Ci ha pensato lo scrittore Antonio Scurati nel ricevere il “Prix du livre europén” per il suo romanzo M. L’uomo della provvidenza edito da Bompiani. Questo “M” però di provvidenziale non ebbe assolutamente nulla e seppe soltanto trasformare la paura in odio devastante. Nel centenario della marcia su Roma, il mondo editoriale ha tenuto in serbo una corposa collezione di verità scomode per replicare con vigore ai mai domi tentativi di rileggere e trasformare la bacata ideologia del Ventennio. Accanto al riconoscimento riservato dal Parlamento Europeo a Scurati, sugli scaffali fa bella e apprezzata mostra di sé l’ultimo libro di Aldo Cazzullo che riguardo al fascismo non ha certo peli sulla lingua. Nel volume Mussolini il capobanda, edito da Mondadori, l’Autore ricorda che un secolo fa l’Italia “cadeva nelle mani di delinquenti, guidati da un uomo spietato e cattivo”. Un uomo che con i suoi complici aveva provocato la morte dei principali oppositori, conquistato il potere con la violenza, prodotto le infamanti leggi razziali e condotto scientemente il Paese a una guerra spaventosa. Sono pubblicazioni che fanno riflettere e mettono nell’angolo coloro che considerano la Resistenza e l’antifascismo oggetti da relegare in soffitta.
TRADIZIONE. Dai, tiriamoci su! Facciamolo utilizzando un vecchio slogan per una nota marca di caffè che divenne presto virale pur non esistendo ancora i social. Era una figura retorica che ruotava attorno alla frase “più lo mandi giù e più ti tira su” che non tardò a colpire l’attenzione del pubblico. Quasi mezzo secolo dopo la si potrebbe tranquillamente usare per il panettone, il dolce più classico che ci sia nel periodo delle Feste. Per appagare i piaceri della gola i migliori pasticcieri hanno indetto a Milano due giornate di degustazione molto frequentate. È stata pure l’occasione per ricordare l’origine del dolce chiamato inizialmente “El pan del Toni” dal nome di un piccolo sguattero al servizio di Ludovico il Moro. Fu infatti grazie alla sua inventiva che il ragazzo salvò un sontuoso banchetto natalizio e soprattutto il dessert andato carbonizzato nell’incendio della dispensa. Col poco rimasto l’abile apprendista mescolando farina, burro, uova, scorza di cedro e qualche uvetta creò una prelibatezza che nella sua semplicità mandò in visibilio i commensali. Da li nacquero la leggenda e la tradizione del “Pan del Toni” rimasta identica nel corso dei secoli e capace di regalarci, con una gustosa fetta dell’arte dolciaria lombarda, momenti di impagabile convivialità così necessari per tirarci su.
