Gli esiti della tentata mediazione vaticana in Ucraina non appaiono per ora plateali, ma nei commenti odierni qualcuno sostiene che Papa Francesco “ci stupirà”. Ragionando sulla missione esplorativa di mons. Matteo Zuppi, ci possiamo domandare a quale nuovo capitolo dovremo ancora assistere in questa “terza guerra mondiale a pezzetti”, per riprendere qui una formula utilizzata da Papa Bergoglio a ridosso dello scorso Natale.

Il conflitto in Ucraina si combatte tanto “sui media, soprattutto sui social, quanto sul terreno, ormai esteso perché il fronte è esondato in Russia”, scrive Paolo Garimberti sul Corriere del 6/6/2023. E nella contrapposizione “tra guerra e pace, il frastuono delle armi supera di gran lunga il bisbiglio delle preghiere dell’inviato di Francesco”. Perciò, è sempre più arduo “distinguere tra verità e menzogna, tra informazione e disinformazione”, conclude Garimberti. Dopodiché, la formula bergogliana sulla terza guerra mondiale a pezzetti va contestualizzata tra due dati, terribili, di cui non si parla abbastanza.

Il dato numero uno riguarda i morti e i feriti. Secondo l’intelligence USA –citata dall'agenzia Reuters nell’aprile scorso – sarebbero 35’500-43’000 i soldati russi morti; per l'Ucraina il bilancio ammonterebbe a 15’500-17’500 militari caduti; tra le due parti si conterebbero, inoltre, circa 280 mila combattenti feriti. Dunque i soldati russi o ucraini, uccisi o feriti fino a un mese e mezzo fa, sarebbero stati, secondo queste stime, oltre 340 mila. Nel frattempo la situazione non è certo migliorata. E si dovrebbero aggiungere al triste computo decine di migliaia di civili per un numero complessivo intorno ad almeno 400 mila morti o feriti.

Il dato numero due sta nelle decine di conflitti armati attualmente in corso sul pianeta da noi abitato. Un vasto scenario di teatri bellici del quale una volta – ai tempi in cui dominava l’idea secondo cui lo stato “naturale” sarebbe la guerra – veniva a rappresentarsi il dramma dell’umanità divisa in due sfere d’influenza contrapposte, l’una guidata dal blocco sovietico, sotto il giogo dell’URSS, l’altra composta delle nazioni liberal-democratiche occidentali, capitanate dagli Stati Uniti d’America.

Qualcosa nel frattempo è cambiato. L’Unione Sovietica, grande potenza vincitrice nella Seconda guerra mondiale, è crollata trent’anni fa insieme al Muro di Berlino; mentre gli USA, pur sconfitti nel Vietnam e costretti alla ritirata dall’Iraq, sono poi usciti trionfatori dalla Guerra fredda.

L’antica contrapposizione – tra Occidente libero e Oriente dispotico, inaugurata dal conflitto tra Greci e Persiani, ma aggiornatasi fino ai giorni nostri nella concorrenza sistemica tra i super-ricchi USA-UE insidiati dai paesi del BRICS, che incarnano il “secondo mondo”, configura uno schema rimasto simile a sé stesso dai tempi di Eschilo: “noi” rappresentiamo la democrazia, “loro” la tirannide… secondo una nostra sperimentatissima narrativa.

Ma allora perché appare così bassa, in giro per il mondo, la reputazione di quel gran faro di civiltà occidentale che noi pur siamo o ci reputiamo essere? Se usciamo dall’Europa e dall’America settentrionale, apprendiamo che la maggior parte degli abitanti degli altri continenti ci detesta. Forse una spiegazione (non l’unica) per questo stato di cose si ha riflettendo sulla differenza tra la nostra prosperità e quella del resto, tutto quanto più povero, del mondo, stendendo un velo sul “perché” di tutto ciò.

In generale, si potrà ribattere che i paesi terzi hanno migliorato sensibilmente le loro situazioni economiche. E che persino la ricchezza pro capite è cresciuta, nonostante il prepotente aumento della popolazione mondiale. Un vero miracolo, dicono gli esperti di queste cose, e però anche un fenomeno indubbiamente reale. Che tuttavia non chiarisce l’acredine dei paesi terzi verso di noi, la quale acredine deve dunque avere radici ben più profonde.

Ma tale evoluzione spiega, almeno in parte, il tendenziale spostamento a destra dei ceti medi occidentali. Questi vedono, infatti, ridursi la disponibilità di risorse e di materie prime provenienti dalle ex colonie e non più fruibili, ormai, alle fin troppo vantaggiose condizioni di un passato che non tornerà, se non in forma pericolosamente onirica.

Dopodiché, in Occidente, ognuno può liberamente sognare quel che gli va. Ma chi punti a una restaurazione di quel passato – e fosse pure nel nome dei più alti e sublimi ideali liberali – sarà ben consigliato, ad agire con la giudiziosa prudenza storica di un Erodoto. Perché? Perché – come narra il gran padre della storiografia antica – se Creso attraverserà il fiume rosso, un grande impero cadrà. E va da sé che Creso, di fronte a quella profezia, ritenne troppo velocemente che, passando quel fiume, l’impero destinato a cadere sarebbe poi stato l’impero… altrui.


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