Le organizzazioni sindacali sono un soggetto indispensabile per rendere operativi, concreti, tangibili i diritti dei cittadini. Ecco perché è fondamentale che i sindacati siano sentiti dal Governo e dal Parlamento prima delle riforme che sono necessarie dopo la svolta dell'Unione Europea.

Il sindacato italiano ha una lunga tradizione riformista. Non è un agitatore. È stato un protagonista nel rafforzamento della democrazia, nella attuazione delle riforme sociali, nello sviluppo dell'economia, nella scelta europea.

Il confronto, la partecipazione, il coinvolgimento dei lavoratori preventivo è fondamentale per la politica, per realizzare le riforme evitando le guerre per errore.

Non dobbiamo dimenticare i cambiamenti in atto in Italia ed in Europa. È in atto un processo di terziarizzazione, con la scomparsa dell'operaio-massa, con la frammentazione delle figure professionali e quindi degli interessi, con la nuova flessibilità del lavoro attuata in modo esagerato, con l'estendersi dell'area del lavoro autonomo. La rapidità con cui questi processi vanno avanti è superiore alle previsioni e quindi è doppiamente preoccupante.

A ciò si aggiunge il cambiamento nel comportamento dei lavoratori.

C'è una emersione potente, anzi prepotente della soggettività. Prevale sempre di più una difficoltà delle persone ad aderire e a riconoscersi nei soggetti collettivi spesso vissuti come abiti troppo larghi o troppo stretti per essere indossati comodamente.

Un altro cambiamento è dato dalla modifica degli orizzonti del potere economico: un potere che si sposta dalla sfera industriale a quella finanziaria, da quella nazionale a quella internazionale. Il mondo del capitale non ha più confini, e il sindacato, i partiti non hanno strumenti non dico per contrastarlo, ma neppure per controllarlo.

A questi fattori planetari si aggiungono fattori propri della situazione italiana. Il primo è la frammentazione sociale, la ricerca da parte di tutti di valorizzare le proprie specificità, che ha portato alla caduta di alcuni valori, quelli della solidarietà. Il motto ora è “ognuno per sé”, Dio per tutti.

Un altro fattore di difficoltà è dato dalla crisi della sinistra.

Non voglio riaprire un fronte supplementare di polemiche, ma con la sincerità dell'analisi impietosa che siamo costretti ad applicare a noi stessi e agli altri dobbiamo dire che l'incertezza, la perdita di bussola della sinistra si ripercuote nel sindacato, spingendolo ad essere altalenante, oscillante, diviso, cadendo di volta in volta nella trappola del “più uno” nella rincorsa ai movimenti.

Si corre il rischio di non saper scegliere o di dividersi tra la professionalità e l'egualitarismo, tra il movimentismo e il compatibilismo, tra il sindacato di lotta e quello di governo.

Il cambiamento dell'economia ha incrementato una spietata concorrenza sui mercati secondo la legge “just in time” (primo vendere, poi produrre) e “della massima flessibilità”.

Prevale, ormai, in Italia ancor più che in Europa una fortissima polarizzazione nell'economia e nel lavoro: da un lato le imprese “globaliste” che garantiscono ai lavoratori buoni stipendi e un'organizzazione del lavoro capace di riconoscere e valorizzare i talenti e la voglia di autonomia.

Dall'altro lato esistono, resistono e si estendono aziende che il politologo Paolo Feltrin definisce efficacemente settori cayenna, (logistica e gig economy) nei quali non esistono diritti, le condizioni di lavoro rievocano lo schiavismo, il lavoro è “on demand”: (domanda e offerta vengono gestite online attraverso piattaforme e app dedicate).

Ecco perché il ruolo del sindacato diventa decisivo. Occorre contrastare i tentativi in atto da tempo che cercano di rendere il sindacato ininfluente, spettatore delle disuguaglianze, impossibilitato ad intervenire.

Non deve essere così. Il sindacato deve esigere la partecipazione e il coinvolgimento nelle aziende non lasciando al solo management i processi di riorganizzazione accrescendo sensibilmente le proprie competenze tecnico-operative di confronto sui contesti nei quali ci si trova ad operare e di counseling.

Filippo Turati nel 1920 propose una legge organica per “rifare l'Italia” nella quale anticipava la richiesta di uno statuto per i lavoratori e di una democrazia nell'azienda per fare in modo che gli stessi tramite il sindacato fossero considerati come degli effettivi condomini.

Bruno Buozzi aggiungeva sempre in quegli anni nel confronto con i datori di lavoro: “occorre resistere un minuto più del padrone conoscendo però almeno un libro più di lui”.

È necessario per il sindacato oggi e domani avere più dialogo, più partecipazione, più competenza, più passione.

Ma non basta, il sindacato deve essere anche combattivo per tutelare i lavoratori e eliminare i settori “cayenna” con una lotta inesorabile ai pseudoappalti, alle paghe da fame, allo sfruttamento.

Il sindacato deve imporre il confronto e la partecipazione al processo in atto del cambiamento tecnologico. Si deve scongiurare anzi impedire il rischio di una polarizzazione del mercato del lavoro.

La divisione del mondo del lavoro se non si interviene non sarà tra le sigle sindacali ma rischia di essere tra lavoratori “professionali” (capaci di stare nel mondo dell'Internet delle cose, dei big data e dei robot) e lavoratori “inermi” che possono rendere disponibile solamente la loro fatica fisica svolgendo mansioni semplificate e realmente usuranti. Cambia il mondo, deve cambiare anche l'azione del sindacato. (continua la lettura sul sito)


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