TRENT’ANNI FA, dopo il crollo della Prima Repubblica, quando non c’erano più cariche politiche da spartire, alcuni “bastian contrari” furono visti buttarsi a peso morto nella vita di partiti ormai scomparsi: «In particolare noi socialisti – disse una volta lo storico Giuseppe Tamburrano – siamo proprio dei poveri deficienti».
Era un contributo alla critica degli “incorreggibili”, i sopravvissuti alla fine del PSI, che Tamburrano accostava ironicamente alla storiella di un fante napoleonico ritrovatosi di fronte a Bonaparte dopo uno scontro campale.
Bisogna sapere che in questa battaglia il soldato aveva eroicamente difeso una posizione cruciale affidatagli e, dopo ore e ore di resistenza, aveva costretto il nemico a mollare la presa e a ritirarsi.
«Bravo! Questo hai compiuto per la nostra Grande Nazione?», chiese Napoleone.
«No», rispose l’altro tenendo il cappello sotto il braccio.
«Allora, lasciami indovinare, l’hai fatto per la gloria del Tricolore?», insistette senza scendere da cavallo.
«No», fece l’uomo, coperto di fango e di sangue.
«Ah, dunque, l’hai fatto per me, per il tuo Imperatore!», esclamò il più grande generale di tutti i tempi, dopo Giulio Cesare e Alessandro Magno. E nel dirlo si mostrava fierissimo, eppure avvertiva già dentro di sé una punta di perplessità.
«Ma no…», ribadì il poveretto.
«Per mille diavoli, soldato! Perché mai l’hai fatto, allora?!»
«Pe’ tigna…», rispose quello, che come Tamburrano parlava in… romanesco.
Morale della favola: le umane vicende sono fatte anche di testardaggine, un vizio davvero assurdo, talvolta, che spinge certe persone in certe situazioni a non svignarsela e a non acquattarsi, ma ciò solo ed esclusivamente… pe’ tigna. Cioè si tiene duro come poveri deficienti e nessuno capisce nemmeno il perché.
L’ALLEGORIA DEL SOLDATINO TESTARDO potrebbe attagliarsi a Ugo Intini, fatto salvo il dialetto della Capitale, che poco si addice a un homo milanesissimus, qual è l’ex portavoce di Craxi. Nel periodo di Tangentopoli e Mani Pulite fu oggetto indimenticabile della satira di Corrado Guzzanti in “Avanzi”, denominazione con cui si alludeva alla testata della quale Intini fu direttore… sino a canzonarlo con le parole «la tangente è una prova d’amore» (vedi su Youtube).
Il che, detto a Ugo Intini, persona riconosciuta come assolutamente integerrima, equivale a una chiamata di correo in quanto anche a lui faceva parte del sistema dei partiti. Chiamata di correo giustissima! Perché tutto il sistema partitocratico era coinvolto. Qui la parola “sistema” significa che in esso vanno inclusi anche gli esponenti politici personalmente onesti.
Ma allora anche il sistema di finanziamento dei comunisti italiani di cui Gianni Cervetti, braccio destro di Enrico Berlinguer, ha scritto in un importante libro dal titolo: “L'oro di Mosca: la testimonianza di un protagonista", giunto ora alla seconda edizione. E vale la pena vederne su Radio Radicale (clicca qui) la presentazione, avvenuta il 16 novembre scorso a Milano, alla quale sono intervenuti Roberto Mazzotta, Ferruccio de Bortoli, Silvio Pons e Lia Quartapelle.
Il massiccio finanziamento sovietico non può certo dirsi trascurabile, perché esso decide il ribaltamento dei rapporti di forza a sinistra a favore del PCI e a sfavore del PSI. I socialisti nei primissimi anni del secondo Dopoguerra si erano confermati, per un’ultima volta, il primo partito della sinistra (Elezioni politiche del 1946) e potevano rivendicare tanto la paternità della Costituente quanto la nascita della Repubblica Italiana (Referendum del 1946), grazie a una battaglia vittoriosa alla quale Pietro Nenni si dedicò con incredibile coerenza e senza tentennamenti.
Ciò va detto in tutta chiarezza e senza la benché minima parzialità, come fatto storico, a prescindere dalle critiche che pure sono state mosse da queste colonne sia alle persone sia alle organizzazioni citate nel presente testo.
Ma torniamo a Intini, che – analogamente al soldatino napoleonico della storia da cui siamo partiti – ha collezionato una quantità incredibile di attacchi, insulti, derisioni, ironie, sarcasmi e financo di violenze. Nel 1993 fu persino aggredito vicino a via del Corso da un gruppo di picchiatori. Era l’epoca in cui un deputato della Lega lombarda, tale Orsenigo, agitava il famoso cappio in mezzo all’emiciclo della Camera. Mentre il professor Gianfranco Miglio, illustre giurista divenuto senatore della destra padana, sentenziava così: «Meglio un innocente in galera che un colpevole fuori».
DOPO TANTO, e dopo tant’acqua passata sotto i ponti senza che sia intervenuta una vera riforma morale dell’Italia, dopo tutto ciò – il danno causato al Paese è enorme.
A tre decenni da quell’epoca di grande ebbrezza per le forze antisistema (ora per altro unite al governo del Paese), ma deleteria per i partiti dell’
Arco costituzionale, che pure non avevano la coscienza morale a posto...
A trent’anni da quelle dissennatezze cui dall’estero si assisteva con un’incredulità mista a raccapriccio, un raccapriccio culminato oltre ogni limite di fronte stragi contro Falcone e Borsellino...
Sei lustri dopo ci ritroviamo con un’Italia che si è come inceppata. E che, utilizzando un parametro econometrico di commisurazione del disastro, ha perso per strada circa un terzo delle sue capacità di sviluppo rispetto ai principali partner e/o concorrenti europei.
Forse è anche per dirci queste cose spiacevoli, affinché ne metabolizziamo la lezione civile contro tutte le forme di violenza politica, che il soldatino Intini Ugo da Milano, ormai ottantenne, ha retto sin qui. E ha scritto un libro, che sembra un’enciclopedia storico-biografica. Il suo libro (appena uscito presso Baldini+Castoldi) s’intitola Testimoni di un secolo. 48 protagonisti e centinaia di comprimari raccontano il secolo breve (v. presentazione su RR).
Lo sguardo dell’Autore, sereno per oltre seicento pagine, parte dall’esperienza della sua vita, dagli incontri fatti e dalle conversazioni avute: i leader della Resistenza, i sindaci e gli intellettuali che ricostruirono la “Milano da bere”, Giuliano Vassalli protagonista degli anni di piombo e della giustizia da riformare dopo le vicende Moro e D’Urso, eccetera, eccetera, eccetera.
Ma Intini va ben oltre il bagaglio dei ricordi, pur preziosissimi in quanto fonti di testimonianza storica. Perché la sua è una biografia corale del Novecento: dall’Italia al mondo, da Sandro Pertini a Ciampi, da Montanelli a Walter Tobagi, da Jaruzelski a Ceausescu, da Shimon Peres ad Arafat, senza contare Mao e i suoi successori, i capi talebani e tanti altri protagonisti o comprimari.
Ogni personaggio incontrato diventa, così, la porzione più o meno rilevante di un secolo cruciale per la storia italiana e mondiale, secolo alle nostre spalle solo in senso cronologico, ma che continuerà ad accompagnarci, perché la cosa più certamente futura che abbiamo è il nostro passato.
