LE PAROLE CHE CONTANO
06, AprPer Elisa Rodoni-Cavedon (Vicenza, 1.2.1933 – Zurigo, 23.3.2023)
Non potrei tributare un mio omaggio a Elisa “Lisetta” Rodoni-Cavedon senza prendere le mosse dalla Libreria Italiana, dove la Lisetta – insieme al marito Sandro Rodoni, compagno di mille battaglie, – aveva costruito un “mondo della vita”, una Lebenswelt, per dirla con Husserl. Era un mondo di libri, di colloqui, dialoghi, discorsi e anche silenzi che accompagnavano la concentrata lettura di questo o quel volume. Un mondo che ha animato la vita culturale e la cultura politica dell’Emigrazione Italiana nel Dopoguerra.
Il mondo della Libreria Italiana di Zurigo apparteneva certo ai grandi intellettuali che l’hanno frequentata (Silone non mancava mai di farci un salto quando passava da Zurigo, e come lui molti altri). Ma apparteneva anche alla gente semplice che andava “dalla Lisetta” in cerca di conforto nel duro spaesamento che sempre consegue all’espatrio come il carro segue i buoi. Perché la Lisetta sapeva capirci tutti così bene, non solo in quanto aveva letto tanti dei libri che esponeva nei suoi scaffali, ma soprattutto perché anche lei era stata “libera di dover andare”. Anche lei aveva dovuto fare le valige dopo che, giovane militante comunista, si era resa rea di “sobillazione” nelle lotte operaie alla Lanerossi di Schio e di Piovene.
Ora che la Lisetta ci ha lasciato, mentre la Libreria Italiana ha ampiamente superato il traguardo dei sessant’anni, vorrei essere capace di sottolinearlo accuratamente, quel che può aver significato inanellare giorno dopo giorno un impegno di tale incredibile durata e di tanto straordinario spessore. E mi pare minimalismo quel che della sua Libreria ha detto Lisetta stessa: «Ho avuto un piccolo mondo, ma era importante». Parole di grande modestia, che molto le assomigliavano e che giustamente i figli, André e Matteo Rodoni, hanno scelto nel riassumere il percorso esistenziale di loro madre.
Dopodiché la Libreria Italiana è stata un “mondo”, sì, certo, Ma non “piccolo”, e anzi tanto più grande in quanto, a pensarci, esso rappresentava invece il sogno di una cosa impossibile. Ed ecco un pensiero di Lisetta stessa sulla questione. Si trova in un frammento dal titolo Struttura, datato 13 settembre 1989: «Ci sono cose possibili, quotidiane, previste. / Io credo nelle cose impossibili: esse sono in grado di rivestire l'anima di una struttura di acciaio lucente; certo, essa rivela a volte la fragilità di un fiore di ibisco ma sempre possiede la dignità e la forza dell'albero di araucaria».
Forse non c’entra, ma mentre scrivo queste righe la parola “emigrazione” un po’ mi ossessiona. Da qualche parte, in una qualche città, in una qualche biblioteca, dovrà pur esserci «un libro che racconti dal di dentro il mondo dell’emigrazione, i motivi che costringono i giovani a partire, i conflitti tra chi resta e chi parte, le difficoltà di integrazione nelle città di arrivo, il razzismo ma anche la conquista della dignità del lavoro». Questo libro esiste e prova ne sia che le parole di cui sopra sono tratte dalla prefazione a Noi lazzaroni di Saverio Strati. Il quale è stato un emigrato in Svizzera, ma, senza dubbio, anche un importante romanziere nella seconda metà del Novecento italiano. Nonché un amico di Lisetta e Sandro Rodoni.
Lisetta e Sandro Rodoni
Tanto che proprio all’inizio di Noi lazzaroni, romanzo del 1972, si legge: «Mi piace camminare per la città. Più tardi passerò dal bar nella Militaerstrasse, per chiacchierare con qualche amico. Passerò anche dalla Libreria Italiana per comprare un tascabile. Mi terrà compagnia durante le venti ore di corsa folle verso il Sud.» Un bel cammeo (non l’unico) che sta lì a immortalare nel firmamento letterario italiano quel magico negozio zurighese di enciclopedie scolastiche, abbecedari e paperbacks.
In esergo alla prima pagina di Noi lazzaroni si leggono queste parole debenedettiane: «Un romanzo non può sempre cantare, anzi può benissimo non cantare mai: il suo dovere principale è di informare, purché naturalmente la notizia non rimanga mero documento, ma trasmetta anche con persuasione emotiva il senso di una situazione umana».
Né saprei tratteggiare per Lisetta un ritratto migliore di questa citazione, parafrasabile nel modo che segue: Una donna non può sempre cantare, anzi può benissimo non cantare mai, ma dovrà parlare con altri e saperli anche ascoltare, badando alle parole che contano, affinché non entrino in un “orecio” per subito uscire dall’altro “orecio”, come amava ripetere la Lisetta trasmettendo sempre la sua coloritura emotiva e umana, talvolta con accento vicentino.
A proposito di coloriture umane, una volta entrò in Libreria una signora sulla trentina e sussurrò essere lei interessata a un libro… serio. "Ripeto, molto serio", sottolineò: “Un libro capace di spiegare a una moglie i segreti della vita, come dire, della vita… intima”. Perché, se avesse trovato quel libro, forse sarebbe riuscita a convincere suo marito, a convincerlo… – aggiunse sospesa – "Beh, se ne sapessi di più, mio marito potrebbe risparmiare dei bei soldi che invece spende con le donnine". Stiamo parlando dell’inizio degli anni Sessanta, quando la vita "intima", l'igiene, le malattie veneree, le fasi della fertilità, le problematiche della fecondità... erano cose ancora completamente circonfuse di mistero, peccato e ignoranza. E ricordo che alla fine di questo racconto Lisetta, di solito amabilissima, sbottò: "Ma insomma anche noi donne avevamo il diritto di sapere dove sono le ovaie".
Grande il mondo della Libreria Italiana! Grande psicologa la Lisetta Rodoni! La quale dal 1961 e per oltre sessant’anni ha saputo affrontare un’infinità e un’infinita varietà di situazioni, problemi, gioie/dolori che solo presso di lei potevano trovare ascolto, consiglio, consolazione e coraggio. Ma – dopo avere lei assistito nella sua Libreria a tutto questo tsunami del popolo emigrante, dopo avere lei ascoltato nella sua Libreria tutta questa inarrestabile marea scrivente e parlante fatta di letterati e poeti e filosofi più o meno eccellenti o gesticolanti – dopo tutto ciò, adesso è giusto che noi ascoltiamo una, almeno una, delle poesie scritte dalla Lisetta stessa. Sì, perché lei scriveva da sempre, si è appreso dopo la morte, mentre su di un fatto tanto centrale della sua esistenza mai l’avevo sentita spendere una sola sillaba in vita. Qui citerò pochi versi di quarantatré anni fa:
«aprile 1980
E c'è stato anche un tempo remoto,
leggero,
chiaro.
Lungo viaggio fatto assieme
sulla strada delle parole
che contano.
E così sia.»

