“Non è una miniera da sfruttare o un suolo da saccheggiare”. Crediamo che queste parole del papa, pronunciate in occasione della sua visita in Africa appena conclusa, delineino bene la condizione ormai secolare di un continente affascinante quanto fragile, in cui l’Occidente ha giocato un ruolo catastrofico, anche eliminando fisicamente i leader politici che hanno tentato di riscattare la propria gente.

Il pontefice si è recato in due dei Paesi più tormentati da guerre endemiche, oltre che da un selvaggio sfruttamento delle risorse: si tratta della Repubblica democratica del Congo e del Sud Sudan. Ancora una volta le ragioni retrostanti alle guerre, che vanno avanti senza soluzione di continuità, sono le dispute territoriali eterne, spesso legate alle maledette risorse energetiche. Così è nella complicata questione dei confini tra Sudan e Sud Sudan, dove venerdì 3 febbraio si è recato il pontefice, seconda tappa africana dopo quella congolese (vedi qui).

La repubblica con capitale Juba, con una superficie doppia di quella italiana, si rese indipendente da Khartum, il 9 luglio 2011, attraverso un referendum vinto dagli indipendentisti con il 98,83% dei consensi. Un risultato che mise la parola fine a decenni di guerra, durante i quali fu inutilmente costituito un governo autonomo del Sudan del Sud. Tuttavia, a quasi dodici anni da quell’evento, i rapporti tra i due Paesi africani restano instabili. E a poco sono valsi i diversi accordi bilaterali siglati da entrambe le parti per controllare il lungo confine che li separa, e per ostacolare i traffici illegali e il passaggio di gruppi armati. Nel gennaio scorso, il tema è stato affrontato a Juba dal presidente del Consiglio sud-sudanese, Salva Kiir, con il presidente del Consiglio sovrano sudanese, generale Abdel Fattah Al-Burhan.

Malgrado la separazione, le economie dei due Paesi restano fortemente legate in numerosi settori. L’intesa prevede la presenza di truppe comuni al confine. “Il tempo dirà – dice Bruna Sironi, rappresentante nell’Africa orientale dell’associazione Mani Tese, oltre che collaboratrice del mensile dei padri comboniani “Nigrizia”– quanto gli impegni reciproci siano frutto di una reale preoccupazione per la stabilità del proprio Paese e dell’intera regione, o invece un messaggio in codice ai rispettivi movimenti di opposizione, o gruppi armati che agiscono su base locale o etnica, tollerati, se non addirittura sostenuti, oltre confine, in un gioco delle parti fin troppo comune lungo molte frontiere africane”. (continua sul sito)


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