Al pari di tutti gli altri venti anche quello italiano si sa da dove viene, ma non dove va.

Arriva gelido dalla crisi più che trentennale del nostro sistema democratico. Le recenti elezioni regionali in Lombardia e nel Lazio lo confermano con un'astensione che viaggia in maniera così galoppante finendo per erodere la base di tenuta e di legittimazione della democrazia.

Il sistema, così, si sfarina soprattutto per due ragioni: la prima è la mancanza di politica, quella vera che non è governismo e che solo veri partiti possono produrre; la seconda perché con il risultato delle elezioni politiche di settembre, ora confermato e consolidato, non sembra esserci nessuna alternativa alla destra nazionalistica che esprime il governo. Una situazione praticamente strutturale dal momento che, anche se le opposizioni si fossero tutte riunite in un solo fronte alternativo, la destra avrebbe vinto egualmente e pure con largo margine.

Da qui ne consegue che l'opposizione in Parlamento avrà poco peso; lo squilibrio del sistema si accentuerà pendendo tutto a destra e, paradossalmente, il fatto di non avere una opposizione politicamente viva non gioverà nemmeno a chi ha la responsabilità del governo. Psicologicamente, poi, ciò si traduce nella convinzione che è inutile andare a votare tanto si sa già chi vincerà.

Il partito del presidente del consiglio è uscito alla grande dalle prove elettorali pur non riprendendo gli stessi voti delle politiche, – anche la Lega ne ha persi in valore assoluto – ma poiché la presenza alle urne è stata solo del 40% è chiaro che il risultato percentuale è cresciuto. Ciò, naturalmente, non risolve le difficoltà che il governo per dati oggettivi, impreparazione e carenza di classe politica adeguata, deve affrontare. E che la paura serpeggi forte sotto le foglie di una facciata che vuole trasmettere sicurezza lo dimostra il refrain sulla durata del governo e sulla compattezza della maggioranza, sul perseguire un programma votato dagli italiani.

Alla fine fondare tutto sulla comunicazione metterà a nudo quanto grande sia l'assenza di un'Idea dell'Italia che, se pur vista da destra, abbia la concretezza necessaria per misurarsi con la politica delle cose. La regressione di ruolo in cui ci troviamo in Europa lo dimostra. Il governo Draghi aveva agganciato l'Italia a Francia e Germania nell'apicalità della politica europea. Non è più così e non è certo ricorrendo a toni stizziti che si può sperare di risalire la china. La mancanza di siffatta idea fa sì che la destra – a ciò indotta anche dall'anima geneticamente nazionalistica – identifichi l'Italia con sé stessa rifuggendo dal rendersi conto della complessità.

Si mostra smaniosa soprattutto di cancellare tutto quanto le sa di “rosso” come nel caso delle polemiche accese dal Festival di Sanremo che tutto è diventato fuorché l'occasione principe della canzone italiana. Diventato un grande circo di spettacolo politico esso non ha dato senso alla propria ragione di essere e per questo, caso mai, andava criticato non scaricandoci contro rabbia di valenza storica e una voglia di rivalsa anch'essa storica. Ma anche il Festival è stato l'espressione di cosa produce il vento italiano; il non saper dare senso alle cose è la prima causa di crisi del vivere civile. Lo è soprattutto per la politica poiché mina il fondamentale modello dialogante che è il presupposto stesso della democrazia, dei valori e dei comportamenti che la devono animare costituendone il motore morale indispensabile al suo essere.(Continua la lettura sul sito de La Rivoluzione Democratica.


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