L'OPERAZIONE MELONI (1/2)
20, OctRICEVIAMO E VOLENTIERI PUBBLICHIAMO un’ampia e articolata riflessione di MARCO MOROSINI, scienziato ambientalista, docente presso il Politecnico Federale di Zurigo, ispiratore indipendente del programma M5S e attento osservatore delle dinamiche socio-politiche italiane.
Nel nostro Paese il partito “Fratelli d’Italia” ha vinto le elezioni del 25 settembre 2022 e dominerà il prossimo governo. La sua leader, Giorgia Meloni, è celebrata come il segno di un’egemonia dell’estrema destra cui si assocerebbe una ventata femminile, di gioventù e di novità. In realtà, è vero il contrario. Perché in Italia le destre sono in minoranza, il risultato elettorale mortifica la presenza e i diritti femminili, il potere maschile e senile in Parlamento è cresciuto. E al governo torna una coalizione vecchia di trent’anni, già tre volte fallita. In questo articolo propongo un’analisi dei presupposti, dei risultati e delle prospettive di quella che possiamo denominare “Operazione Meloni”.
di Marco Morosini
Egemonia delle destre? La coalizione delle tre destre è in minoranza nel Paese con il 44% dei voti contro il 49% dei suoi avversari di sinistra e di centro. Le destre avranno però il 59% dei parlamentari (352 su 600) grazie a una legge elettorale stravagante.
I dodici milioni di voti per le destre non sono aumentati rispetto al 2018, ma la loro percentuale è salita dal 37% al 44% a causa dell’accresciuta astensione (dal 27 % al 36%). I voti espressi sono stati 28 milioni ossia il 64% degli aventi diritto e tra questi si contano 1,3 milioni di schede bianche o nulle (4,5%).
Vera novità, all’interno della coalizione delle tre destre, è il travaso di voti da Lega e Forza Italia, collassate al 9% e rispettivamente all’8%, a favore di Fratelli d’Italia (26%). Su 51,3 milioni di aventi diritto solo 12,6 milioni (25%) hanno votato per la coalizione delle tre destre. E solo 7,3 milioni (il 14,6 % degli aventi diritto) hanno votato Fratelli d’Italia. Che è stato l’unico partito coerentemente all’opposizione di sei governi in undici anni. A questo, e non tanto a una accresciuta simpatia per il neofascismo, si deve in gran parte il successo di Meloni.
Non è esatto dire, quindi, che “L’Italia va a destra”. Ci vanno, invece, questo sì, il Parlamento e il Governo. Di conseguenza, mentre i filofascisti rappresenterebbero a livello di popolazione meno di una persona su dieci, la mentalità neofascista dominerà la maggioranza parlamentare, il governo e la televisione statale RAI. Tutto ciò contribuirà nel Paese a ispirare leggi, linguaggio, comportamenti e cultura.
Una ventata femminile? Giorgia Meloni è l’unica donna tra i maggiori dirigenti di Fratelli d’Italia, un partito impregnato di mentalità patriarcale (“Dio Patria Famiglia”), nel cui esecutivo siedono solo cinque donne su ventiquattro membri. Si tratta del partito italiano più maschile e maschilista, con le più basse percentuali di donne tra i dirigenti, gli aderenti, gli elettori e i parlamentari (in Senato solo 4 su 21). I suoi programmi politici sono ostili alla discriminazione positiva di genere, al diritto all’aborto senza ostacoli, alla “lobby LGBT”, alla “ideologia di genere” – e vedono il dovere principale della donna nel partorire molti figli per contrastare la “crisi demografica”. Inoltre, la percentuale di donne in parlamento è diminuita rispetto al 2018 dal 35% al 32%.
Una ventata giovanile? Rispetto al 2018, l’età media dei deputati eletti è aumentata da 44 a 50 anni e la tradizionale gerontocrazia italiana si è aggravata: 86 anni, 81 anni e 75 anni sono infatti le età di Berlusconi, Bossi e La Russa (il nuovo presidente del Senato), i patriarchi delle destre vincenti. I tre potrebbero essere i nonni di Giorgia Meloni. Ora tornano da protagonisti in parlamento, dove siedono da più di trent’anni. In regia c’è di nuovo Berlusconi, l’uomo che con le sue televisioni e i suoi giornali ha lanciato in politica decine di giovani donne e molte ministre. Il suo partito Forza Italia ha pochi voti (8%), ma l’impero mediatico di Berlusconi ha molto contribuito al successo di Meloni e delle destre. Berlusconi sa che l’unica chance di diventare Presidente della Repubblica è quella di “portare al governo i fascisti“, come fece negli anni ‘90. È per questo che Berlusconi ha messo in campo a favore di Meloni il suo potere di propaganda: le tre principali emittenti televisive private e decine di giornali e riviste.
Una ventata di novità? La coalizione delle destre torna al potere per la quarta volta, dopo avere già governato per due, cinque e tre anni. Il nuovo governo sarà quindi la restaurazione dell’ancien régime di Silvio Berlusconi insieme ai “fascisti” (come pur li chiama) e a Matteo Salvini (Lega), ma questa volta sarà dominato da Fratelli d’Italia.
I due registi dell’”Operazione Meloni” sono il nuovo presidente del Senato Senatore Ignazio Benito La Russa e Guido Crosetto. Quest’ultimo potrebbe essere il padre di Giorgia Meloni. I due hanno fatto gli studi universitari e hanno l’esperienza che manca a lei. Nel 2012 fondano Fratelli d’Italia, il partito che raccoglie l’eredità di sessant’anni di neofascismo italiano. Il loro profilo personale e la loro proposta politica sanno di vecchio. Allora hanno l’accortezza di far partecipare alla fondazione anche la 35enne Meloni. A buon conto, per due anni tengono per loro la carica di presidente. Quando capiscono che la figura più debole del trio potrebbe diventare la carta vincente si ritirano dietro le quinte, offrono la presidenza a Meloni, e mandano lei alla ribalta.
Una fotografia simbolizza lo stato delle cose. In essa si vede una gracile Meloni trentenne in preda al riso, sdraiata e sollevata come una bambina nelle braccia di Guido Crosetto, simpatico King Kong piemontese che pesa il triplo di lei. La differenza di peso tra i due non è solo corporea. Crosetto, infatti, ha studiato economia, dagli anni ‘80 dirige l’azienda di famiglia, è stato sindaco di una città e presidente di un aeroporto. È in politica da trentacinque anni ed è stato parlamentare per quattordici anni. Soprattutto, Crosetto è stato sottosegretario alla difesa (2008-2011) sotto il ministro della difesa, il suo collega Ignazio Benito La Russa. Non sorprende, quindi, che Crosetto sia stato attivo nel business delle armi da guerra dirigendo l’azienda statale Orizzonte Sistemi Navali e la Federazione Aziende Italiane per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza AIAD. In politica Crosetto fu democristiano negli anni ‘80 e poi membro del partito di Berlusconi. Gioviale e apprezzato dai media e anche dagli avversari, di lui non risultano idee fasciste.
Il maggiore ispiratore del partito, però, è il Senatore Ignazio Benito La Russa, di 75 anni, patriarca del neofascismo italiano, in politica ormai da mezzo secolo. Il Senatore è titolare di uno studio di avvocati e capo di una sorta di “clan La Russa”, siciliano che da decenni intreccia poteri economici e politici.
Del “clan” fece parte il padre Senatore Antonino La Russa, ex dirigente del Partito Nazionale Fascista e del Movimento Sociale Italiano MSI, e fa parte suo fratello Romano La Russa, già membro del MSI ed ex europarlamentare neofascista.
Alcuni lo chiamano Lucifero per l’aspetto e la voce roca così platealmente “diabolici” che sono oggetto di parodie. La Russa stesso gioca su questo cliché luciferino che in qualche modo lo rende simpatico. Si vedano per esempio le sue sembianze da Rasputin in un comizio nel film Sbatti il mostro in prima pagina (1972).
“Ignazio restava nell’ombra, le cose le faceva fare agli altri”, disse il collega Tomaso Staiti di Cuddia riferendosi al “giovedì nero“ del 13 aprile 1973 a Milano, la “manifestazione anticomunista” voluta dal MSI e da La Russa malgrado il divieto delle autorità. Durante violenti scontri con le forze dell’ordine i neofascisti devastarono un liceo e la Casa dello studente. Alcuni di loro lanciarono una bomba a mano che uccise l’agente di polizia Antonio Marino e ferì dodici poliziotti. Per il suo attivismo nelle manifestazioni “turbolente” degli anni ‘70 (gli “anni di piombo”) qualcuno chiamava La Russa “la Rissa” (inteso come zuffa e bagarre). Erano quegli anni ‘70 durante i quali alcuni militanti o simpatizzanti del MSI davano la caccia agli avversari armati di chiavi inglesi, coltelli o anche di armi da fuoco (omicidio di Walter Rossi, 1977).
Mentre Meloni si presenta come un fiore appena sbocciato, La Russa simboleggia le radici profonde di Fratelli d’Italia. La sua militanza cominciò nel 1971 nel Movimento Sociale Italiano (MSI), il partito fondato nel 1946 da Giorgio Almirante, ex dirigente fascista e collaboratore dei nazisti, ex caporedattore del giornale “La difesa della razza” («Il razzismo ha da essere cibo di tutti e per tutti», affermava). La Russa sostenne tutti i governi di Silvio Berlusconi e in uno di questi (2008-2011) fu Ministro della difesa, ossia responsabile delle forze armate, dei servizi segreti e dei carabinieri.
Lei stessa medesima - Giorgia Meloni è nata a Roma nel 1977, ha terminato gli studi a diciotto anni con un diploma di maturità in lingue. L’abbiamo sentita parlare in pubblico in buono Spagnolo, Inglese e Francese, il che rappresenta una novità per un personaggio politico italiano. Aspira a guidare il governo anche se non ha mai diretto un’azienda, un assessorato, un comune, una provincia, una regione o un ministero importante.
Durante i comizi urla “Io sono Giorgia, sono una donna, sono una madre, sono cristiana!”. La frase è ormai leggenda, martellata a tempo di rap nel clip “Io sono Giorgia – Remix“, visualizzato tredici milioni di volte.
“Giorgia” è diventato un vero brand. “Noi siamo Giorgia” è scritto su enormi cartelli ai suoi comizi. “Io sono Giorgia” è il titolo della sua autobiografia, con il suo ritratto in copertina. Anche sulla copertina del programma del partito c’è un suo ritratto seducente, come su una rivista di moda.
Ecco, Meloni è essenzialmente “di moda”. Il programma del partito è lei. Nelle interviste su di lei le persone rispondono solitamente “Mi piace” anziché “Sono d’accordo”.
Il successo di Meloni si fonda più sul numero delle sue fotografie che non su quello delle sue parole. Ogni giorno i media diffondono centinaia di fotografie fornite dal suo ufficio stampa che la ritraggono in pose accattivanti, molto spesso con un gran sorriso e uno sfondo di folla mentre si fa un selfie.
Non di rado, nella versione in rete del principale giornale italiano, si contano una decina di fotografie di Meloni in un solo giorno. Questa esasperata personalizzazione dà l’impressione che l’Italia sia una Repubblica presidenziale, come la Francia o gli USA. Ma non è così, perché in Italia il popolo elegge parlamentari, non presidenti.
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