Appunti a margine della Convention filo-Bonaccini tenutasi a Cesena il 22 luglio scorso.

A volte ritornano. E Romano Prodi è tornato per parlare a Cesena alla costituzione della corrente di Stefano Bonaccini. Ricordate? La presenza dell'ex- presidente del consiglio era stata annunciata, nei giorni precedenti, come l'occasione per una lezione, si presume di politica, per cercare di dare una linea a una forza sulla cui crisi e sulla sua persistenza nel perdere non vale la pena soffermarsi tanto i fatti parlano da soli.

È difficile capire cosa ci si potesse aspettare da una personalità, rispettabilissima peraltro, come Romano Prodi che in quanto a capacità di costruire politica ha ampiamente "già dato", se pur a lui va riconosciuto il merito di aver battuto due volte Silvio Berlusconi. Quelle vittorie, tuttavia, non sono servite né a salvare il sistema politico dal proprio progressivo sfarinamento né a impedire l'avanzata del populismo. Restano ricordi importanti sul piano simbolico, ma non incidenti sul piano politico, compresa la costruzione del Pd nato da un'idea furbesca e confusa e giunto, di tormento in tormento, a un sbandamento finale da cui è uscita Elly Schlein che avrà pure tante doti, ma non sembra possedere quelle necessarie per guidare un partito. Laddove il PD volesse essere tale, occorrerebbe rifarlo di sana pianta. Per diventare cosa? Quella forza di centro democratico che ci è parso di cogliere nell'intervento di Lorenzo Guerini, uno dei pochi dirigenti politici degni del nome.

Vedremo cosa combinerà la corrente nata a Cesena. Certo è che da Prodi sono venute parole usuali; è venuto un ragionamento politico povero, senza sostanza vera. Prendiamone un passaggio, forse quello più significativo: «Il Pd può essere il perno del centrosinistra, ma lo spirito unitario è la condizione perché possa tornare alla guida dell'Italia», ha detto Prodi: «Il riformismo è indispensabile, accompagnato da un radicalismo dolce.»

Ci asteniamo dal fare ogni ironia sul richiamo al "riformismo" e al "radicalismo dolce": sarebbe anche fin troppo facile. Ma vedete voi se questo è il contributo di colui che è stato definito il "padre nobile" del Pd all'atto della sua rinascita. E come farà a "rinascere" una cosa che non è mai veramente nata? Dopodiché la destra può continuare a sgovernare questo Paese in tutta tranquillità, guidata da una Giorgia Meloni che ravvisa a ogni suo passo un successo nazionale.

Quasi due mesi orsono il premio Nobel Joseph Stiglitz, parlando al Festival dell'Economia di Trento, rilevò come l'Italia rischiasse «una lenta soppressione degli strumenti democratici» (la Repubblica, 28.5.2023).La sintonia tra Prodi e il Pd risiede nel fatto che entrambi considerano il problema politico italiano come un qualcosa che si gioca solo ed esclusivamente sulla conquista del governo, per cui non c'è bisogno di pensare l'Italia, e non abbisogna nessuna cultura politica, poiché tutto si risolve nel refrain delle "sorelle Bandiera": fatti più in là!

In questa logica il problema, ribadiamolo, non era né il partito (e siamo generosi a chiamarlo così), ma neppure l'Italia (e ne siamo rammaricati), bensì conquistare il governo: ora, riconquistare il governo. Ma è mai possibile che nessuno, a un anno dalla caduta del governo Draghi, abbia sentito la necessità di compiere un'analisi della dinamica che fece cadere quella coalizione d'emergenza? Un'analisi del perché il Pd, che doveva essere il meno interessato alla sua caduta, non fu in grado di sviluppare iniziativa politica alcuna?

La storia sta confermando quanto già si sapeva: governismo e populismo vanno a braccetto, ma quando il secondo fa blocco con l'illiberalismo della destra, il primo, bene che vada, assume un profilo da simil-peronismo, peraltro senza esserlo veramente. In esso, poi, confluisce un po' tutto, come il rifarsi avanti di una proposta già presente nel referendum di Matteo Renzi; ossia, una riforma istituzionale che preveda un sistema monocamerale con una "camera delle autonomie."

Romano Prodi ha lanciato un appello alla 'sostanziazione' del governismo, ma la replica della realtà è altra e, come molti a Cesena hanno rilevato, il partito perde regolarmente le occasioni elettorali, fatta salva qualche eccezione. Ci sembra che Cesena sia stata una quasi prova tecnica di scissione, ma saranno i fatti parlare. In questa situazione c'è stato chi ha invitato il Pd a svegliarsi e a integrarsi in una grande formazione politica come il Partito del Socialismo Europeo visto che le Europee sono alle porte. Se il PSE esistesse la proposta potrebbe avere anche un senso, ma esso è un fantasma che non si aggira per l'Europa, visto che sta per lo più nascosto.

Ma possono essere questi i ragionamenti da fare in un frangente delicato per la democrazia, non solo italiana, che stiamo attraversando?

Un'estate sta finendo, per lo più bollente, dopo che a Cesena anche la "politica" ha pensato bene di andare al mare.


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