MALINTESI. Poveri ma belli è un film degli anni Cinquanta firmato da Dino Risi che con la sua mano leggera, ma non per questo meno sicura, parla dei giovani di allora alla ricerca della felicità. Un Dino Risi dei nostri tempi dovrebbe invece confrontarsi con una situazione esattamente all’opposto in cui povertà e bellezza non formano un binomio felice e gradito al pubblico. A confermare questo stato d’animo è un rapporto di recente pubblicazione dal quale risulta che la povertà è ignorata e mal interpretata dalla società. La ricerca prede a campione la Svizzera, ma non rimane circoscritta entro le frontiere della Confederazione, e descrive invece un problema che si manifesta in molti Paesi in cui il benessere raggiunge livelli da “alto” a “molto alto”.
Ciò non fa che aumentare le disuguaglianze tra coloro che sono cresciuti nel cono d’ombra delle difficoltà esistenziali e chi può invece assaporare i piaceri della prosperità. In tale contesto non sempre la solidarietà funziona: le persone che vivono in povertà sono ancora percepite dalla società come “colpevoli” della loro situazione. Una visione errata, che relega i “poveri” – anche i bambini – nel ruolo di mendicanti e che non di rado dà origine a sofferenze e pregiudizi dolorosi.
CHE TEMPO! Una mattina il governo si è svegliato e non ha più trovato l’invasore. Il fattore FF non avrebbe più turbato la narrazione ufficiale. Cala il sipario su “Che tempo che fa” che portava in dote oltre due milioni e mezzo di spettatori e per la sinistra – dicono – adesso la pacchia è finita davvero. La maggioranza gongola. E chiosa: finalmente chiude la fabbrica di marchette per i compagni. “Marchette”? Si veda la Treccani per cogliere il significato della parola. Nella scia del Caso Fazio l’Italia assiste dunque all’ennesimo episodio di lottizzazione, comunque già deprecabile, e attuato nella circostanza in un modo spregiudicato come mai era successo prima. Per intuire le conseguenze e misurare le ricadute politiche dell’assalto alla diligenza della RAI bisognerà attendere i prossimi palinsesti. Solo allora misureremo lo spazio riservato al pluralismo e alla contro programmazione. Il "Belli ciao” twittato da Matteo Salvini non offre tuttavia molte garanzie. Oltre che uno sberleffo a chi produceva la trasmissione, è evidente l’allusione alla canzone simbolo del 25 Aprile ed ai ripetuti tentativi di riscrivere la storia. Se non altro prima sapevamo “Che tempo che faceva”, ironizza Fiorello. Immaginare ora, dopo la tempesta, “Che tempo sarà” è come camminare in una notte senza stelle.
SPERANZA. È un po’ in là con gli anni, a volte si dimentica che esiste, spesso lo si confonde con l’UE, ma le sue rughe non sono segno di saggezza, non di vecchiaia. E proprio ora, sullo sfondo di una finestra internazionale che non guarda su uno scenario molto rassicurante, il Consiglio d’Europa dimostra tutta la sua importanza per la salvaguardia delle conquiste maturate dopo lo scempio della Seconda guerra mondiale. Fondato nel 1949 con sede a Strasburgo, è l’organizzazione intergovernativa più anziana e che conta più membri (46) in Europa. La sua principale attività fa perno attorno alla tutela e la promozione dei diritti umani. Al vertice svoltosi in questi giorni in terra islandese gli eredi degli Adenauer e degli Schuman, che posarono la prima pietra della Comunità europea, si sono trovati di fronte a una sfida epocale. Il Consiglio è stato criticato per non avere tenuto a freno i Paesi che si allontanano dai valori democratici. La guerra in Ucraina ha aggravato questo stato di cose e la Russia, a causa dell’invasione, è stata esclusa dall’organizzazione. Ma nel contrasto alle gravi violazioni dei diritti umani, alla deportazione dei bambini, agli attacchi contro obbiettivi civili e ai corridori umanitari, il lavoro che resta da fare è enorme. Per rispondere alle crisi in Europa in tempi come questi nulla è più prezioso della solidarietà tra le nazioni democratiche. Solo rafforzando gli sforzi per resistere tutti assieme alle provocazioni dei guerrafondai, il summit sarà riuscito a compiere un passo fondamentale per tenere accesa la speranza.
